La manovra e i nodi ancora da sciogliere

La legge di Bilancio mantiene credibilità sui mercati, ma la coperta corta costringe a scelte dure: sanità e famiglie vengono rafforzate, mentre su energia e salari restano criticità da risolvere
October 22, 2025
In ottica di Economia civile, generatività e addizionalità sono due qualità fondamentali per una legge di bilancio. Per generatività intendiamo la capacità di attivare con il minimo di risorse monetarie il massimo possibile di energie produttive e sociali del Paese. L’addizionalità è l’uso delle risorse pubbliche per fare qualcosa che non sarebbe stato fatto altrimenti dal mercato e dai cittadini in assenza di intervento dello Stato. Fare una finanziaria generativa non è solo un’arte, ma anche e soprattutto una necessità in presenza di vincoli stringenti su debito e deficit. La Legge di bilancio approvata in Consiglio dei ministri merita un plauso in aggregato, perché ha il pregio di preservare la buona reputazione conquistata sui mercati finanziari. Quella reputazione che ha all’improvviso capovolto la classifica tra noi e la Francia, e che ci porta riduzioni di spread e risparmi di spese da interessi sul debito.
Proprio perché siamo stati attenti a non sforare su deficit e spesa, generatività e addizionalità sono fondamentali se vogliamo che la Legge di bilancio abbia qualche impatto positivo. In tal senso, una prima scelta tra le diverse direzioni d’intervento risulta fondamentale: la coperta delle poche risorse a disposizione è corta, e se la tiriamo da una parte ci scopre dall’altra. Ogni volta che diciamo che ci vuole più spesa in un certo ambito, cioè, dobbiamo anche dire da quale altro vogliamo toglierla. O lavorare sul lato delle entrate.Su questo fronte torna in campo il discusso contributo di banche e assicurazioni, che poi alla fine non arriva quasi mai in porto. E se anche arrivasse, potrebbe finire per pescare ancora una volta dalle nostre tasche poiché, come si insegna agli studenti, imposte su imprese che hanno potere di mercato vengono trasferite sui loro clienti/consumatori.
Sul fronte delle spese, invece, il governo ha scelto di tirare la coperta in direzione della sanità, una vera emergenza in cui, per altro, la carenza di medici ed infermieri nel pubblico costituisce un limite a tutto quello che possiamo fare (come le case di comunità) per combattere la lunghezza delle liste d’attesa e la rinuncia alle cure di chi ha meno soldi e non può ricorrere in alternativa alla sanità privata. Non va dimenticato, poi, che la metà degli anziani non autosufficienti oggi non riceve indennità di accompagnamento, indennità che copre solo una piccola parte delle spese di gestione familiari di un problema destinato a crescere con l’aumento dell’aspettativa di vita e pure degli anni non in buona salute. Fondamentale aver messo risorse sui crediti d’imposta che agevolano gli investimenti delle imprese e consentono loro di prendere il treno ad alta velocità della transizione digitale e dell’intelligenza artificiale. Importante mettere più risorse a disposizione delle famiglie, innanzitutto per un principio di equità contributiva.
Dove di generatività ce ne sarebbe voluta di più è nel settore dell’energia. Siamo il Paese con il più alto tasso di dipendenza energetica dall’estero (da qui sono venute le due disgrazie delle fiammate inflazionistiche degli ultimi cinquant’anni) e con le bollette più care per famiglie e imprese. Non ci vogliono molti soldi per irrobustire la commissione di valutazione d’impatto ambientale (Via) ed eliminare il collo di bottiglia che impedisce a tantissimi progetti di essere approvati per accelerare la transizione e raggiungere i nostri vicini come la Spagna. Non ci vogliono particolari risorse per irrobustire il sostegno alle imprese che investono in impianti per aumentare la propria indipendenza energetica o per assicurare ai due milioni di produttori italiani e alle comunità energetiche la traduzione immediata in sconto in bolletta dell’energia che autoproducono.
C’è poco o niente per aumentare i salari, fermi in media da trent’anni a questa parte. Il nodo, in questo caso, è che i salari non si possono aumentare in maniera permanente e strutturale con la spesa pubblica, perché il loro progresso è l’effetto di un sistema che cresce, si sviluppa e innova. La stagnazione salariale è figlia di un Paese penultimo nella quota dei laureati in Europa, con un’ecosistema (finanza, burocrazia, rischio legale) che scoraggia invece di favorire l’innovazione, una specializzazione produttiva in settori (turismo, servizi a basso valore aggiunto, manifattura prevalentemente componentista e contoterzista) che non facilita certo la loro crescita. Se vogliamo, una mossa generativa in questo ambito della Legge di bilancio è quella di incentivare la conclusione di contratti di lavoro il cui rinnovo è in grave ritardo. È un paradosso dover mettere risorse su questo piatto, ma i nuovi contratti di lavoro – che incorporano non solo aumenti salariali per compensare quanto perso negli anni dell’inflazione, ma anche innovazione sociale e di welfare – sono una via maestra attraverso la quale le parti sociali mettono il meglio di quello che sanno per far ripartire le imprese e il Paese.

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