La Colletta alimentare e quei segni visibili di speranza
Il gesto di una comunità generativa che offre spunti di riflessione utili per capire meglio il ruolo dei cattolici nella società e nella politica oggi

La Colletta alimentare di sabato scorso ha coinvolto oltre 5 milioni di donatori e raccolto 8.300 tonnellate di cibo. Questo gesto offre spunti di riflessione utili per capire meglio il ruolo dei cattolici nella società e nella politica oggi. In un contesto sociale plurale come quello odierno, essere una presenza originale significa offrire segni visibili di speranza. Nel rapporto con il mondo questa speranza si esprime anzitutto – nota don Giussani nel libro Un volto nella storia – come condivisione, cioè come un «essere veramente dentro» la situazione di bisogno dei fratelli uomini, e come giudizio nuovo su tutta la realtà. Da dove nasce questa presenza originale? Dalla fede vissuta nella Chiesa, nella comunione cristiana. Sarebbe altrimenti impossibile avere criteri di giudizio liberi dalle ideologie, dagli interessi, dalle consorterie che dominano il mondo, e avere le ragioni necessarie per creare iniziative che sfuggono al tornaconto e alla pressione del potere. Non bastano una ispirazione o una fede concepita individualisticamente per essere una presenza originale in una società sempre più atomizzata e polarizzata. Lo ha richiamato il cardinale Zuppi nella sua introduzione all’assemblea della Cei: «Una comunità viva è sempre una profezia in questo nostro tempo individualista», per questo «siamo chiamati a impegnarci a costruire la comunità cristiana laddove siamo. Solo questa darà la carne alla nostra fede e un tetto ai nostri fratelli».
La politica è chiamata, dal canto suo, a farsi carico delle istanze che vengono dalla società e a favorire tutte le iniziative che genuinamente ed efficacemente concorrono a rispondere ai bisogni reali delle persone. Il suo scopo non coincide con la conquista del potere (questo casomai può esserne lo strumento necessario), ma si compie nel servizio al bene comune e nella difesa della libertà e della dignità della persona. Anche in politica, una posizione autenticamente cristiana potrà emergere solo dall’appartenenza vissuta alla Chiesa. Contrariamente al luogo comune, questa appartenenza non costituisce un limite alla libertà, ma è proprio ciò che ci rende liberi nel giudicare e quindi nel portare il nostro contributo in ogni campo, anche quando non è riconosciuto o può essere osteggiato. Come ha detto papa Leone XIV a una delegazione di politici francesi, la salvezza introdotta da Cristo nel mondo «racchiude tutte le dimensioni della vita umana, quali la cultura, l’economia e il lavoro, la famiglia e il matrimonio, il rispetto della dignità umana e della vita, la salute, passando per la comunicazione, l’educazione e la politica. Il cristianesimo non si può ridurre a una semplice devozione privata».
È dunque per la comune appartenenza alla Chiesa che la presenza dei cristiani nel mondo ha sempre dentro un’ultima tensione all’unità in ogni ambito, fino alla politica, al di là delle varie connotazioni partitiche. Anche se si aderisce a o si parteggia per organizzazioni diverse, è profondamente desiderabile un dialogo autentico sulle questioni fondamentali per cercare un giudizio comune, individuando insieme ciò che la fede vissuta nella Chiesa ha da dire sulle vicende umane. E laddove sussistono delle discordie, saranno guardate non come un diritto da rivendicare, ma come un dolore, uno sprone ad approfondire il dialogo nella carità, per poter camminare sempre più insieme, anche nelle differenze. Un esempio di una questione fondamentale è l’educazione. La lettera apostolica Disegnare nuove mappe di speranza pone sotto gli occhi di tutti un’urgenza, che almeno noi cristiani non possiamo minimizzare, relativa alla libertà di educazione, parlando in maniera profonda e attuale della scuola di matrice cattolica. Del resto, una prospettiva politica laica e democratica, impegnata a riconoscere e sostenere la libertà delle persone e la creatività che nasce dal cuore della società in funzione del bene comune, non può non avere tra i suoi obiettivi prioritari quello di garantire una piena libertà di educazione. Non si tratta di un interesse di parte, ma di un diritto stabilito dalla Costituzione. L’articolo 30 riconosce a ogni famiglia il diritto a decidere liberamente come debbano essere educati i propri figli. Ma è un diritto che resta ancora largamente sulla carta – per tante ragioni, storiche e ideologiche – e attende di essere pienamente attuato, così come avviene nella quasi totalità dei Paesi Ue. C’è da augurarsi allora che su questo tema si possa registrare una rinnovata consapevolezza e un impegno comune dei cattolici, fino alle conseguenze operative che il riconoscimento di tale diritto comporta.
Presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione
© RIPRODUZIONE RISERVATA






