La «città dei quindici minuti»? Senza comunità è segregazione
di Redazione
Per realizzare la prossimità non basta costruire edifici, strade e percorsi secondo un modello ideale: la progettazione urbana deve coinvolgere i cittadini e le realtà territoriali già presenti

I prezzi delle abitazioni, in calo tra il 2011 e il 2015 e stabilizzatisi sino al 2020, vedono una nuova risalita. Sono in particolare i prezzi delle nuove costruzioni o di quelle esistenti ristrutturate ad aver superato nel 2021 il picco registrato nel 20124. Questi dati riportano l’attenzione sulla possibilità per le famiglie di accedere all’abitazione. Tradizionalmente, l’elevata propensione al risparmio e la proprietà della casa hanno caratterizzato le famiglie italiane, che si trovano tuttavia in crescente difficoltà ad affrontare queste spese ingenti, soprattutto con la pandemia.
Al 2020, delle famiglie che abitano in case di proprietà, a pagare un mutuo sono il 19,5%, con una spesa media mensile di 545 euro. Il 18,3% delle famiglie è in affitto, con una spesa media di 414 euro al mese. Il valore cresce nelle aree metropolitane a 496, per una percentuale del 27,8%. Nel nostro Paese, si trova in condizioni di povertà assoluta il 15,1% delle famiglie in affitto e il 3,9% di quelle in proprietà. Il mantenimento dell’abitazione ha un grande peso e per l’8,7% risulta eccessivamente oneroso, incidendo per oltre il 40% del reddito familiare. Soprattutto nei primi mesi, l’emergenza sanitaria ha segnato in modo determinante le famiglie in affitto: ha avuto difficoltà nel pagare il canone con regolarità il 24% dei nuclei, contro il 9,6% del periodo pre-pandemia. I l 5% della popolazione vive in condizioni di grave deprivazione abitativa (in case con problemi strutturali, in assenza di alcuni servizi, in sovraffollamento abitativo) e le difficoltà si acuiscono nelle grandi città. Più in generale, vive in condizioni di disagio abitativo il 14,5% delle famiglie italiane, di cui 1 milione e 470mila con disagio acuto o grave. Un problema che non trova completa soluzione nel sistema dell’Edilizia Residenziale Pubblica: Nomisma e Federcasa dimostrano che, anche nell’utopistica ipotesi di ridurre il canone medio di locazione a 110 euro mensili (quanto richiesto mediamente in Erp), resterebbero 288mila famiglie con disagio abitativo. Anche in questo contesto si devono ricercare soluzioni diverse, che permettano di superare la persistente dualità tra la casa come diritto, pur estremamente costoso da garantire, e la casa come bene di mercato. Sono troppe le famiglie che rimangono escluse da compravendita e locazione e non trovano accesso all’abitare pubblico. Quale novità consegnare al mondo, quando il pensiero fatica a immaginare, ancora e ancora, il nuovo? Nuove forme dell’abitare. (…)
Le nostre città sono oggi frammentate: abitiamo case lontane dal luogo di lavoro e percorriamo lunghi tragitti quotidiani per raggiungere gli uffici; ci serviamo in centri commerciali e negozi fuori città; ci curiamo negli ospedali pubblici fuori provincia o, addirittura, in un’altra regione. Abbiamo subito decenni di tendenza al gigantismo delle aree urbane, che hanno ridotto i quartieri a scheletri vuoti e che ci spingono a continui spostamenti. Le città, così come sono organizzate, ci fanno perdere tempo. Ritorna quindi l’attenzione su la ville du quart d’heure teorizzata da Carlos Moreno, docente dell’Università Sorbona: una città racchiusa in un diagramma circolare, una mappa del quartiere, dove l’essenziale si trova a un massimo di quindici minuti da casa, a piedi o in bicicletta. Un tema tornato alle luci della ribalta con i periodi di chiusura degli ultimi anni, in cui si è dimostrato uno strumento di innovazione urbana in grado di migliorare la quotidianità delle persone ed evitare gli assembramenti sui mezzi di trasporto pubblico e non solo. Si tratta inoltre di una proposta importante dal punto di vista ambientale, che spingerebbe le amministrazioni a puntare su una mobilità di breve raggio e dunque maggiormente sostenibile, che vedrebbe protagonisti i percorsi ciclabili e pedonali, in un panorama di cosiddette 'Zone 30'. Ne trarrebbero positivo vantaggio i livelli di inquinamento atmosferico, ma anche il ritmo di vita nelle città, spesso frenetico e tumultuoso, causa di stress e disagio.
Temi al centro del secondo mandato della sindaca di Parigi Anne Hidalgo e alla base della progressiva trasformazione della città, ma abbracciati già in precedenza anche da contesti come Barcellona, che con i suoi 'superblocchi' cerca di dare vita a isolati liberi dalle auto, e Milano, con la riorganizzazione di alcuni quartieri. Una soluzione in cui l’utilizzo della tecnologia assume un ruolo centrale, con rivoluzioni come il coworking o la telemedicina, ma anche basata sul recupero e la valorizzazione di pratiche come il commercio di prossimità, attraverso la riscoperta di zone e spazi di scarto e l’implementazione di servizi di pubblica utilità che facciano fronte all’irreversibile sviluppo urbano. Al centro del cambiamento, il concetto di polifunzionalità degli spazi.
Così i luoghi del lavoro, della cura, dell’educazione e della cultura si avvicinano spazialmente sempre più a quelli dell’abitare: un abitare generativo, che punta a offrire lo spazio e il tempo per tutti quegli aspetti della realtà che rendono confortevole e ricca la vita. Tuttavia, rispetto a quanto espresso dalla soluzione della 'città del quarto d’ora', devono essere fatte alcune puntualizzazioni. In primis, vi è un errore di visione di fondo nella progettazione spaziale, qualora fondata in modo esclusivo su urbanistica e architettura, a cui è necessario porre particolare attenzione: il punto di partenza per ricostruire la città sono le reti familiari e di vicinato, non la struttura fisica che le può accogliere, sebbene se ne riconosca la centrale importanza. Per questa ragione, per realizzare la prossimità non appare sufficiente strutturare la città dal punto di vista hardware, costruendo edifici, strade e percorsi secondo un modello ideale: è fondamentale che la progettazione urbana sia strettamente interrelata con un processo di attivazione comunitaria coinvolgente per i cittadini e le realtà territoriali già presenti. La vera infrastruttura di base della città è la comunità, attorno alla quale vanno sviluppati i luoghi della possibilità di relazione.
Inoltre, vi è un pericolo evidente nel modello di 'città dei quindici minuti': quello dell’autosufficienza degli spazi urbani, da allontanare con convinzione per evitare il rischio di una deriva autosegregativa ed esclusivista. La possibilità di raggiungere in pochi minuti tutto ciò di cui si ha bisogno non deve significare un processo di chiusura di ciascuna realtà territoriale rispetto all’esterno, ma piuttosto il passaggio progettuale chiave per un’opera di rigenerazione. Non deve essere eliminata la possibilità di spostarsi, ma la necessità di farlo. Una 'città dei quindici minuti' adeguatamente interpretata potrebbe realmente costituire l’occasione di incontro e di prossimità che ricerchiamo nella nostra quotidianità. Camminare nel proprio quartiere, conoscere i negozi di vicinato, vivere gli appuntamenti culturali del territorio: tutto questo significa opportunità di tessere relazioni, di conoscere chi si muove intorno a noi, di vedere da vicino i volti delle persone.
Questo testo è un estratto del libro “Generare luoghi di vita - Nuove forme dell’abitare”, di Johnny Dotti e Chiara Nogarotto (Paoline Editoriale Libri, 2022)

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