Italia occidentale ed euromediterranea

L’incombente Manovra di bilancio per il prossimo anno e la necessità di trovare le risorse per sterilizzare l’indiscriminato aumento automatico dell’Iva sono le urgenze sempre ricordate ...
September 2, 2019
Italia occidentale ed euromediterranea
L’incombente Manovra di bilancio per il prossimo anno e la necessità di trovare le risorse per sterilizzare l’indiscriminato aumento automatico dell’Iva sono le urgenze sempre ricordate – e persino autoevidenti – per il prossimo governo. E tuttavia, apparentemente meno impellenti, ve ne sono altre. Tra queste criticità, e di certo non meno prioritaria, vi è quella che imporrà al nuovo esecutivo di re-imparare i fondamentali della politica estera del nostro Paese.
Chiunque sia il futuro ministro degli Esteri suo sarà il compito, assieme al presidente del Consiglio (dato che sempre più la politica estera è nelle mani dei capi di governo) di far dimenticare l’indisciplina e, talora, il vero e proprio analfabetismo diplomatico che ci ha contraddistinto negli ultimi mesi quando membri politici del Governo si sono arrogati temi e addirittura competenze del titolare della Farnesina, il "tecnico" Enzo Moavero Milanesi (che ha preso la sua rivincita aiutando il premier Conte a fermare l’europrocedura di infrazione per deficit eccessivo).
La prima regola, quella aurea, che sarà saggio ribadire è che la politica estera di uno Stato è intrinsecamente strategica: lega gli eventi e le crisi del momento, le contingenze sul breve termine, con una visione di lungo periodo ancorata ad alleanze consolidate e a scelte di campo stabili anche se non immobili. Nulla è peggio che asservirla alla logica dei "like" e delle frasi a effetto sui social, delle simpatie e antipatie personali, rincorrendo quel consenso via smartphone che sta togliendo il senno a politici di tutto il mondo.
E non vi è dubbio alcuno che il pilastro strategico del nostro Paese sia – dopo la catastrofe della Seconda guerra mondiale – incentrato sull’Occidente e dentro l’Unione Europea. Il demagogismo velleitario e autolesionista di alcuni politici ha trasformato l’Europa nel capro espiatorio da gettare in pasto all’opinione pubblica, con il risultato di marginalizzarci e di farci apparire nel torto anche quando le nostre richieste erano, e sono, sacrosante. Dalla scelta europea non possiamo prescindere, né da quella atlantica: sono i due pilastri che garantiscono il nostro benessere e la nostra sicurezza.
Certo, comprendere che Nato e Ue sono l’asse strategico della collocazione internazionale della nostra Repubblica non significa essere acritici o muti dinanzi alle loro storture o rinunciare a difendere i nostri interessi nazionali, perché a Bruxelles ognuno lo fa, e più sei forte (come la Germania) o scaltro (come la Francia) più riesci nell’impresa. Ma di sicuro correre ora ai piedi di Putin, ora a quelli di Trump o scimmiottare le forze di protesta anti-sistema non costituiscono la strada per ottenere di più e di meglio.
Più opportuno sarebbe guardare alla storia della vituperata Prima Repubblica: anche in momenti di crisi o debolezza, l’Italia non ha mai rinunciato a suoi gradi di autonomia in politica estera.
Anzi, spesso abbiamo fatto da apripista per il resto dell’Occidente: dalle coraggiose politiche energetiche di Mattei alla produzione di modelli Fiat in Unione Sovietica, dalla visione mediterranea di Moro e Andreotti al ruolo di pontieri verso l’Iran negli anni 90. Oggi, con la Cina che si affaccia sullo scenario euromediterraneo, possiamo agire ancora una volta da apripista e da mediatori, senza fughe in avanti, ma dimostrando (e facendo capire) che adeguarsi ai cambiamenti geopolitici del sistema internazionale è l’unica alternativa al subirli. Non occorre quindi rinnegare gli accordi presi con Pechino, il cui ruolo è crescente e duraturo, ma gestirli e comunicarli meglio ai nostri alleati.
E , infine, non possiamo dimenticare che l’Italia ha una vocazione mediterranea dettata dalla sua stessa geografia. Lo sguardo isterico e persino disumano verso tutto ciò che avviene o arriva da quel bacino va contro la nostra tradizione, la nostra etica e anche contro i nostri interessi. Nella regione sono in atto mutamenti geopolitici, demografici, economici che attraverseranno tutto il secolo che stiamo vivendo. Dobbiamo quindi tornare a una visione lunga, ridando centralità anche alla macchina diplomatica, troppo spesso bypassata o marginalizzata, per capire come gestirli al meglio, insistendo per avere più Europa nel Mediterraneo e non meno Italia in un bacino da cui non possiamo scappare. Ai futuri governanti si potrebbe quanto meno suggerire qualche foto al mare in meno e qualche dossier letto con attenzione in più.

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