Il Papa, la guerra, il Meeting: che non sia il rancore a governare il mondo
Una riflessione a partire dalle parole di Leone XIV all'udienza di mercoledì scorso su Giuda, il tradimento e su quanto sia difficile continuare ad amare nonostante tutto

Ogni giorno è come essere presi a schiaffi, il web al mattino. A Gaza parte il colossale insediamento israeliano che stabilisce che quella terra non sarà mai palestinese. E, «se Hamas non libera gli ostaggi, sarà l’inferno», promette Netanyahu. Sotto, foto di due bambine in un cratere di macerie nella Striscia. L’inferno? Più di così? Oltre 50mila morti. La fame addosso ai neonati, ai lattanti. A Mosca poi, pare che la pace non interessi granché – né forse il Donbass basterà a saziarne gli appetiti. A Washington una mattina il presidente degli Usa detta dazi folli, l’indomani li smentisce. La sensazione di una bussola smarrita, di un mondo alla deriva, in cui può accadere di tutto. Questo nuovo mondo ci pesa addosso. La terra stessa su cui costruiamo non sembra più così ferma. Cerchiamo di non parlarne, ma lo sappiamo. Proprio ieri il Papa aveva chiesto una giornata di digiuno per la pace. A dircene l’urgenza. La necessità di un’altra via, di un’altra logica. Da anni la violenza si è allargata in modo impensabile nel “nostro” mondo: in Europa con l’invasione dell’Ucraina, in Israele con la viscerale premeditata ferocia del 7 ottobre.
Inimmaginabile l’odio adesso, nelle famiglie di Gaza massacrate. E nei padri degli ostaggi israeliani torturati per 600 giorni, o ancora murati nei tunnel di Hamas? E nel Donbass, devastato e depredato anche dei suoi figli? Cosa resta se non odiare, pensi, se appena cerchi di immedesimarti in queste sciagure. Ma proprio una parola di Leone XIV, nell’Udienza di mercoledì scorso, interpella. Il Papa torna all’Ultima Cena, all’istante in cui Cristo porge un boccone a Giuda, che lo tradirà. «Non è solo un gesto di condivisione, è molto di più: è l’ultimo tentativo dell’amore di non arrendersi», commenta Leone. Non è solo – in quanti lo avevamo capito? - l’indicazione del traditore, è l’ultimo gesto di Cristo per chi lo ha venduto. Offrire un boccone, come a un figlio affamato.
«Non è dimenticanza, non è debolezza», prosegue il Papa: «Il Vangelo ci mostra che c’è sempre un modo per continuare ad amare, anche quando tutto sembra irrimediabilmente compromesso. Perdonare non significa negare il male, ma impedirgli di generare altro male. Non è dire che non è successo nulla, ma fare tutto il possibile perché non sia il rancore a decidere il futuro». Che non sia il rancore a decidere il futuro. Che cosa straordinaria: senza negare il male ricevuto, non lasciarsene tuttavia governare. Umanamente quasi impossibile, davanti a certi lutti, a certi orrori. Una grazia, da domandare. Singolare davvero, una trasformazione che dal fango più nero tragga creta, per costruire. Perché di questo abbiamo bisogno: speranza, per andare avanti. Anche noi che non siamo toccati dalla guerra, eppure spesso siamo così scontenti, accidiosi, e poveri di figli – quasi non ne valesse più la pena. C’è un’eco, di questa speranza necessaria, anche nelle parole di Mattarella per il Meeting iniziato a Rimini: «Abbiamo bisogno di costruttori di pace, di partecipazione, di solidarietà. Non possiamo dare per scontate le conquiste che le precedenti generazioni ci hanno trasmesso».
Già, niente sembra più scontato, nessuna conquista di umanità certa, nel nuovo millennio. Operai nuovi, mani, fiducia servono, per ricominciare. E “Costruiremo con mattoni nuovi” è il titolo del Meeting. È un verso di Eliot, poeta e profeta. Nei Cori da “La Rocca” si chiedeva, ed era il 1934: «Avete bisogno vi si dica che qualsiasi cosa sia stata può ancora accadere ora? Avete bisogno che vi si dica che persino modeste cognizioni che vi permettono d’essere orgogliosi in una società educata difficilmente sopravviveranno alla fede a cui devono il loro significato?». I dubbi di Eliot ci pervadono, in questa estate. Ma lo stesso Eliot, poeta cristiano, esorta a riprendere gli attrezzi in mano e la calce, a cambiare il legno marcio con legno nuova. A costruire, ancora.
Con quale fiducia, mentre assistiamo all’esplosione dell’odio ai nostri confini? Nella fiducia che stiamo dimenticando, ma in cui l’Occidente, pure fra mille guerre e assedi, è cresciuto. Quella detta dal Papa: che non sia il rancore, a governare il mondo. A cominciare da noi. Le pietre nuove si pongono nel perdono, «il perdono che ci riconsegna a noi stessi», dice Leone. Come in quel gesto straordinario nell’Ultima Cena, Gesù che offre un boccone a chi sta per tradirlo. Si chiama perdono, ma è la rivoluzione. Forse, la sola che ci rimane.
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