Il Giubileo mostra che la scuola è un luogo in cui la speranza si fa carne

In un’Italia che spesso discute di scuola solo in termini di problemi è importante ricordare che la scuola resta una delle poche esperienze capaci di segnare la vita di ciascuno
September 12, 2025
Il Giubileo mostra che la scuola è un luogo in cui la speranza si fa carne
Maurizio Maule / fotogramma.it | Primo giorno di scuola a Milano
Il Duomo di Milano, un pomeriggio di inizio settembre. Nella cattedrale illuminata, gremita di docenti, studenti e personale scolastico, risuona una parola che sembra fragile e invece resiste: speranza. È il filo rosso del Giubileo diocesano della scuola, celebrato all’inizio di un nuovo anno di lezioni, con l’arcivescovo Mario Delpini a presiedere la liturgia della Parola. Un evento che non si limita alla cronaca, ma offre un’occasione per guardare al senso profondo dell’educare oggi. Non solo a Milano, mentre le scuole italiane riaprono le porte un giorno dopo l’altro in tutto il Paese. Papa Francesco nella Bolla di indizione del Giubileo aveva segnalato lo strano paradosso dei giovani: dovrebbero incarnare la speranza, eppure spesso la smarriscono. Charles Péguy li avrebbe immaginati come la bambina che corre avanti e trascina le sorelle maggiori, fede e carità. E invece, molti appaiono affaticati prima ancora di cominciare la corsa. Il futuro è percepito come un orizzonte incerto, persino minaccioso: crisi ambientale, precarietà lavorativa, guerre alle porte dell’Europa. Non stupisce allora che ansia, isolamento e disagio psicologico crescano proprio in quella fascia d’età che dovrebbe sprigionare vitalità. L’aspettativa degli adulti, che vorrebbero i ragazzi spensierati e felici, diventa talvolta un peso ulteriore: un “dovere alla gioia” che può trasformarsi in condanna.
Questo paradosso si riflette nella scuola. Spesso descritta come obsoleta, incapace di intercettare linguaggi e interessi, appare talvolta come un luogo che spegne più che accendere. Ma la stessa scuola, nei suoi momenti migliori, è anche lo spazio in cui entusiasmo e senso rifioriscono. Lo sanno bene gli insegnanti: accanto alla frustrazione di sentirsi impotenti di fronte a problemi sempre più complessi, vivono anche la sorpresa di scoprire nei ragazzi risorse inaspettate. Un alunno che si sblocca, una classe distratta che improvvisamente si accende, un dialogo che apre possibilità di pensiero critico: lampi che non cancellano la fatica quotidiana, ma la trasfigurano. «Per essere seminatori di futuro – ricorda don Fabio Landi, responsabile della pastorale scolastica – occorre credere nella bontà del seme e nella fecondità della terra».
Durante la celebrazione milanese alcune testimonianze hanno reso concreta questa dinamica. Beatrice ha raccontato la sua lotta contro i disturbi alimentari e la scoperta di sé grazie alla scuola. Soi, marocchino cresciuto in un quartiere difficile di Torino e poi finito in carcere alla vigilia della maturità, ha ottenuto una borsa di studio alla Bocconi. Arianna, arrivata dal Salvador senza conoscere l’italiano, dopo rifiuti e porte chiuse ha trovato un liceo disposto ad accoglierla e oggi è laureanda in Economia alla Cattolica. E Lorenzo, liceale milanese, ha spiegato come lo studio della filosofia abbia aperto in lui domande decisive di fede. Voci che dicono come la speranza, quando nasce, non sia frutto di slogan o piani ministeriali ma di relazioni: nello sguardo di un docente, nella fiducia che una comunità sa accordare, che il futuro torna possibile. Nella sua riflessione, mons. Delpini ha evocato tre città che «non possono restare nascoste» e che diventano simboli della missione educativa. Atene, la città del “conosci te stesso” socratico, in cui il sapiente è colui che riconosce i limiti del sapere. Per la scuola significa non presentarsi come dispensatrice di verità prefabbricate, ma come laboratorio critico. È un invito a coltivare il dubbio buono, antidoto alle fake news e all’omologazione. Alessandria, crocevia di popoli e lingue, dove si custodiva la biblioteca più grande del mondo antico. È la città dell’incontro, della pluralità che diventa ricchezza. La scuola di oggi, sempre più multiculturale, è chiamata a essere proprio questo: un luogo in cui culture e saperi si incontrano, e da cui può nascere la convivenza pacifica. E la nuova Gerusalemme, la città della speranza, in cui ogni lacrima è asciugata. Ricorda che educare non è solo preparare lavoratori o cittadini, ma uomini e donne aperti al mistero di Dio e al desiderio di pace.
In un’Italia che spesso discute di scuola solo in termini di problemi – precariato, edilizia, riforme incompiute – il Giubileo ricorda che resta una delle poche esperienze capaci di segnare la vita di ciascuno. Non è solo il luogo in cui si accumulano nozioni, ma lo spazio in cui si diventa adulti, si impara a pensare, si resiste alla pressione dell’omologazione. La scuola non è mai neutra: o alimenta la speranza, o la soffoca. È in gioco il futuro dei ragazzi, ma anche la qualità della democrazia. Alla fine, il senso del Giubileo sta proprio qui: invocare una speranza che non si produce da soli. Non bastano la buona volontà, le riforme, le strategie. La speranza è dono, nasce dall’ascolto del Vangelo. È questo che permette a un docente di resistere alla frustrazione, a uno studente di rialzarsi, a una comunità di credere che la fatica non sia vana. Il Duomo di Milano gremito lo ha reso visibile: non pochi “addetti ai lavori”, ma un intero popolo che riconosce nella scuola un bene comune. In un tempo di crisi, il gesto stesso di ritrovarsi, ascoltare storie e pregare insieme è già seme di futuro. Alla scuola non mancano logorio e fragilità. Ma il Giubileo ha mostrato che resta un luogo in cui la speranza si fa carne: nei volti dei ragazzi che ripartono, negli insegnanti che ritrovano il gusto di seminare. È la promessa che il mondo non sia condannato alla ripetizione del già visto ma possa sempre ricominciare.

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