Guariremo con gli organi tascabili e i tessuti biologici

La bioingegneria apre scenari straordinari. Ma la corsa all’innovazione impone nuove riflessioni etiche. Così scienza e tecnologia stanno cambiando lo scenario relativo ai trapianti
September 8, 2025
Guariremo con gli organi tascabili e i tessuti biologici
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La tecnologia al servizio della medicina non è solo quella informatica o robotica. Vi sono approcci particolari, insoliti e meno conosciuti, in grado di rivoluzionare radicalmente nei prossimi anni alcuni settori della medicina. In particolare tre di queste tecnologie meritano attenzione: quella delle stampanti tridimensionali di tessuti umani, quella degli organi in miniatura su chip e quella dei cosiddetti “organoidi”. Settori di ricerca e di sviluppo che integrano la “tecnologia pura” con la “tecnologia biologica”. Il medico statunitense Charles Vacanti è stato il primo, negli anni Novanta, a dimostrare la possibilità di realizzare la rigenerazione tissutale. Con l’aiuto di una muffa biodegradabile e utilizzando cellule bovine, coltivò cartilagine delle dimensioni e della forma di un padiglione auricolare umano sotto la pelle di un topo, facendo sembrare come se l’animale avesse un orecchio che gli cresceva dalla schiena. Da allora molto tempo è passato e notevoli progressi sono stati fatti in quest’ambito. La ricerca per creare dal nulla tessuti umani vitali, che si tratti di cellule o di un intero organo, non si è fermata. Oggi grazie all’uso di “bioinchiostri” a base cellulare e con biostampanti tridimensionali (3D) i ricercatori riescono a creare tessuti vitali per molteplici applicazioni. Si è aperta così una nuova era dell’ingegneria tissutale. La biostampa tridimensionale rappresenta uno strumento di riproduzione avanzato nella realizzazione di impianti medici biologici. Per produrre il bioinchiostro necessario per la procedura bisogna avere sia un campione di cellule viventi sia un materiale in grado di imitare la matrice extracellulare che possa rimanere stabile una volta stampato nella forma desiderata. La prima esigenza si risolve utilizzando cellule staminali pluripotenti umane indotte (capaci cioè di trasformarsi in diversi tipi cellulari) che vengono coltivate in appositi bireattori. La seconda si supera grazie all’uso di polimeri idrogel che soddisfano i requisiti richiesti: naturali come le proteine del collagene o sintetici come il polietilenglicole. Ogni tessuto poi richiede un mix differente per imitare la propria matrice extracellulare. Per la biostampa ossea, ad esempio, i bioinchiostri contengono ceramiche in polvere miscelate con un liquido e indurite dopo la stampa. Questa tecnologia potrebbe in futuro rivoluzionare i trapianti di organi e di tessuti, consentendo ai pazienti di ricevere parti del corpo biostamapte in 3D senza dover attendere un donatore e assumere farmaci immunosoppressori. Questa metodologia potrebbe anche accelerare la ricerca preclinica, fornendo nuovi modelli di malattia che renderebbero obsoleta la sperimentazione animale. Un giorno non lontano le biostampanti 3D potranno diventare attrezzature standard nelle sale operatorie, come oggi lo sono i bisturi. Dispositivi in grado di riprodurre in miniatura il funzionamento di un organo potrebbero fornire un notevole contributo alla ricerca biomedica e farmacologica.
Questi “organi tascabili” in realtà esistono già. Si chiamano “organ-ona- chip”, un nome in realtà fuorviante, perché questi strumenti non hanno componenti elettronici. Sono chiamati così in quanto la loro piattaforma ha piccoli canali di pochi millesimi di millimetro che li compongono – con al loro interno alcune cellule di organi particolari (cuore, polmone, rene, sangue, osso, cartilagine, pelle, per citarne alcuni) – ottenuti utilizzando lo stesso procedimento con cui si fabbricano i chip del computer. Si tratta dunque di un chip microfluidico tridimensionale per culture cellulari in 3D che è in grado di simulare l’attività, la meccanica e la risposta fisiologica di interi organi o di sistemi di tessuto, rappresentando pertanto un modello in vitro di un “organo artificiale”. Questa metodica è ancora agli albori, ma l’ottimizzazione crescente di tali dispositivi porta alla realizzazione di organi artificiali validi per una comprensione dettagliata della complessa risposta del corpo umano a qualsiasi stimolo od evento nella prospettiva di poter modellare in questo modo sofisticate risposte fisiologiche in vitro in condizioni accuratamente simulate. Questi piccoli strumenti possono accelerare le tappe necessarie per la ricerca e lo sviluppo di nuovi farmaci, perché alcuni di questi sistemi su chip riescono a testare contemporaneamente centinaia di molecole potenzialmente terapeutiche su oltre cento diversi campioni di tessuti umani, senza necessità di sperimentazioni dirette su esseri viventi nelle fasi iniziali della ricerca, evidenziando immediatamente non solo la probabile efficacia ma anche la possibile tossicità delle sostanze testate. Inoltre gli “organ-on-a-chip” potranno svelare come si sviluppano determinate malattie, mostrando qual è la sequenza delle microalterazioni patologiche che sono alla base dell’insorgenza del quadro morboso.
Questa nuova metodica di studio è stata resa possibile dalla transizione da modelli di cultura cellulare tradizionale bidimensionali (2D) a sistemi di cultura cellulare tridimensionali (3D) in grado di promuovere livelli più elevati di differenziazione cellulare e di organizzazione dei tessuti, adattandosi a cambiamenti di forma e a connessioni dei tessuti impediti dai rigidi substrati di culture bidimensionali. Il primo organo su chip messo a punto è stato il polmone mediante la riproduzione di un alveolo, l’unità funzionale respiratoria più piccola, utilizzata per migliorare la rilevanza fisiologica dei modelli di interfaccia alveolo-capillare in vitro esistenti. In tal modo è stato possibile studiare i meccanismi infiammatori legati all’inquinamento atmosferico e quelli infettivi determinati dai microrganismi patogeni (batteri e virus). Si è così aperta la corsa per applicare questa tecnologia ad altri organi. Il chip dell’intestino simula la peristalsi comprimendo le parti interne, mentre quello renale aiuta a comprendere l’esatta funzione filtrante dei nefroni, le cellule renali che producono l’urina filtrando i liquidi ed eliminando le scorie dell’organismo. Più complesso replicare in vitro l’ambiente cardiaco a causa delle difficoltà di imitare la contrattilità e le risposte elettrofisiologiche del cuore. Per questo è stato messo a punto un ingegnoso sistema che utilizza una “elettrovalvola pneumatica” per addestrare le cellule cardiache, i cardiomiociti, a battere in modo regolare e sincrono simulando in tal modo il ritmo del cuore. Oggi su questi microdispositivi si riescono a riprodurre molti altri organi (ghiandole mammarie, cervello, occhi, vasi sanguigni, gengive, pelle) in modo da poter testare farmaci e misurare in modo diretto condizioni fisiologiche e patologiche per realizzare modelli interpretativi sul loro funzionamento o sul loro malfunzionamento.
Anche per il funzionamento di questi dispositivi si usano cellule staminali pluripotenti indotte, di origine ematica o cutanea. La bioingegneria è poi arrivata a realizzare ulteriori progressi nello studio in vitro di strutture complesse attraverso la realizzazione dei cosiddetti “organoidi”. Cos’è un organoide? E’ un aggregato di cellule che assumono spontaneamente una precisa conformazione tridimensionale, finendo con l’assomigliare a un organo in miniatura. Sono dunque elementi biologici diversi sia dagli organi biostampati sia dagli organi in miniatura su chip. La capacità delle cellule che li compongono di organizzarsi e distribuirsi ordinatamente, ripercorrendo i passaggi più importanti del processo di organogenesi, li ha resi modelli cellulari impareggiabili per conseguire informazioni preziose relative allo sviluppo dei vari organi. Grazie agli organoidi lo studio della biologia dello sviluppo è cambiata radicalmente, dal momento che hanno permesso ai ricercatori di guardare ai processi di embriogenesi di organi come il cervello, il cuore, il fegato, il pancreas o il rene in modo rivoluzionario. Pur essendo strutture piccole – non superano generalmente pochi centimetri – gli organoidi possono essere formati da cellule prelevate direttamente ai pazienti e, pertanto, diventano elementi indispensabili per capire cosa accade a un organo quando viene aggredito da una malattia e studiare terapie mirate per risolvere la condizione patologica. Queste tecnologie biologiche offrono prospettive rivoluzionare per la medicina del futuro, ma occorre non dimenticare che le proposte terapeutiche per risolvere la malattia devono sempre essere inserite in una dimensione antropologica ed etica della cura.
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