Femminicidi: le leggi ci sono, si lavori di più sulla prevenzione

Il castigo, di sua natura, si occupa del "dopo". La vita va difesa "prima". Potenziando tutti gli strumenti a disposizione
October 22, 2025
Nell'immagine sono visibili decine di mazzi di fiori lasciati davanti all'ingresso della Facoltà di Scienze della Sapienza di Roma per ricordare le donne vittime di femminicidio
Fiori per le donne vittime di femminicidio durante una manifestazione alla Sapienza di Roma /Fotogramma
Le continue cronache di femminicidio sono dolore e sgomento. La coscienza collettiva è pervasa dalla riprovazione unanime, eppure resta desolata e impotente. Il primo approccio, reattivo e persino rabbioso, va diretto alla lotta: “ma non ci sono leggi a frenare questi crimini?”. Certo che ci sono, e non da ieri. È del 2011 la Convenzione di Istanbul «sulla prevenzione della violenza contro le donne e la lotta contro la violenza domestica», firmata dai Paesi membri del Consiglio d’Europa. In Italia speciali misure penali sono state inserite dalla legge 119 del 2013, sui “maltrattamenti”, lo stalking e gli atti persecutori, le violenze; e poi la legge sul “codice rosso” del 2019, e poi la legge 168 del 2023; fino al disegno di legge n. 1433, approvato dal Senato nel luglio scorso e trasmesso alla Camera, per punire il femminicidio con l’ergastolo.
Ma produce frutto questa linea di lotta? I delitti non cessano, i castighi non dissuadono, i processi non sembrano frenare le morti violente di genere. Ancora intorno al centinaio di vittime all’anno, in prevalenza per mano assassina del partner o dell’ex. Sarà la voglia di ergastolo a far cessare d’incanto la tragedia, o c’è altro da fare? Sul piano giuridico e sociale c’è ancora da mettere a punto la prevenzione. Il castigo, di sua natura, si occupa del “dopo”; la vita va difesa “prima”. Ciò significa potenziare gli strumenti di protezione e di soccorso, le reti di aiuto, i centri anti-violenza, le case rifugio. E anche i dispositivi di cautela, i braccialetti elettronici e l’intervento delle forze dell’ordine in tempo reale.
Ma neanche questo è decisivo. Necessario, sì, indispensabile impedire alla malerba di crescere nel prato, ma sono le radici che vanno strappate dal fondo. E le radici della violenza sulla donna “in quanto donna” fanno i conti con l’idea assassina che è la “mia” donna, mio possesso, mia cosa, oggetto di cui non posso essere derubato per il suo sottrarsi a me, e se lo fa non deve esserci più, né per me né per lei. Questo il probabile impasto del delirio omicida, esplorato sotto il profilo psicologico. Circa le spinte criminose che nascono dalla fine di una relazione, in soggetti che vendicano l’umiliazione del rifiuto, studi recenti ravvisano una dipendenza affettiva patologica, incapace di tollerare la frustrazione derivante dall’abbandono, vissuto come un affronto distruttivo. Quando le cronache rivelano crudeltà inaudite, vien da pensare che l’aggressore nega alla vittima la sua stessa identità, la disumanizza.
La prevenzione di queste tragedie non può limitarsi ai dintorni delle relazioni affettive intossicate, che scambiano per amore il “possesso”. Deve cominciare prima, molto per tempo, fin dall’infanzia, fin da quell’apprendimento spontaneo che nel cuore dei figli registra la comunione di vita dei genitori, nel rispetto reciproco e nel dono di sé, oppure soffre il guasto della disunione e del disamore. Poi nella scuola, fin da subito, una positiva educazione al rispetto reciproco, ponendo a base d’ogni relazione il concetto della eguale dignità personale. Poiché ogni “altro” non è un “non-io” ma un altro “io”; ed è per sé quel che io sono per me. E che il desiderio d’amore è cammino da percorrere per fare di sé stessi un dono. Frattanto, anche alla società intera va chiesto un cambiamento culturale profondo. L’eguaglianza proclamata nelle leggi va tradotta nella vita concreta. Non sono sicuro che si tratti di una questione arcaica di patriarcato: oggi il “padre di famiglia” sembra ai sociologi una figura così sbiadita, evanescente, al punto che parlano di “eclissi del padre”. La rivoluzione culturale è più radicale, tocca tutti, uomini e donne, e riguarda una scelta di vita che in un celebre saggio Erich Fromm chiamò L’arte di amare.
In fondo, per i cristiani è l’abc del Vangelo, è il comandamento nuovo, nuovo e perenne. Contro ogni discriminazione che offende l’eguale dignità dell’uomo e della donna non c’è solo la Costituzione italiana: c’è una Costituzione pastorale della Chiesa universale che, nel Concilio Vaticano II, dice che «ogni genere di discriminazione circa i diritti fondamentali della persona, sia in campo sociale che culturale, in ragione del sesso (ecco il punto! ndr), della razza, del colore, della condizione sociale, della lingua o religione, deve essere superato ed eliminato, come contrario al disegno di Dio».

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