Disabilità, anziani e caregiver: serve un Ministero per la cura

La proposta di legge riconosce la cura familiare ma ignora l’enorme carenza di servizi reali: case inadatte, personale insufficiente, Rsa. Problemi che vanno affrontati con una pianificazione unitaria e finanziamenti certi
December 2, 2025
Disabilità, anziani e caregiver: serve un Ministero per la cura
/Icp
Voci di giornalisti milanesi autorevoli recentemente hanno proposto riflessioni sul cambiamento che ha interessato Milano negli ultimi anni. Certamente l’unica vera metropoli italiana, addirittura la nostra New York. Città non adatta ai vulnerabili socialmente e difficile da vivere anche per chi vi lavora e ha una casa e che lentamente lascia, diventando pendolare. Affitti esagerati e mancanza di alloggi per giovani. Città finanziaria, di grandi eventi, motore di sviluppo e di progresso anche sui fronti tecnologi più avanzati, e perciò stesso non adatta ai meno capienti: a maggior ragione “difficile” per i cittadini anziani, sempre più numerosi e destinati a invecchiare con crescenti bisogni da soddisfare, che non trovano sufficienti e pertinenti risposte.
Questo giornale ha pubblicato recentemente un’intervista alla ministra per le Disabilità, Alessandra Locatelli, che ha illustrato lo schema di una proposta di legge volta a riconoscere l’insostituibile funzione di assistenza e cura per le persone con disabilità e gli anziani in famiglia. Finalmente, e giustamente, viene riconosciuto l’interesse collettivo di una attività di cura. Sia la scelta dell’aiuto quanto la finalità sintetizzano una problematica non riducibile a una sola dimensione. La persona anziana bisognosa di interventi presenta un prisma di necessità, e quindi richiede una pluralità di strumenti da mettere a disposizione, qualificati con diversa intensità e specializzazione. Perciò urge la conoscenza del fenomeno – dati statistici, epidemiologici, condizioni socioculturali ed economiche, ecc. – per una corretta programmazione. L’espressione più ricorrente, che fa riferimento a una realizzazione più auspicabile, è “assistenza domiciliare”. Ma quale assistenza: solo sociale o anche sanitaria? Con quale grado di intensità? E in quali alloggi: nelle case popolari senza ascensore o con ascensori fuori uso da anni? In periferie degradate e non sicure?
La proposta di legge, meritoria, sembra destinata solo ai caregiver familiari. Ma quando non ci sono familiari? Sono note le dimensioni delle attuali famiglie. La città metropolitana conosce la crisi demografica, l’anagrafe e la condizione urbanistica. I familiari – in maggioranza donne (mogli, mamme, sorelle, figlie) – possono dedicarsi all’anziano fino a quando mantiene una certa autosufficienza. Quando si aggravano le patologie, oppure appare la malattia di Alzheimer o qualche altra forma di demenza, il caregiver familiare deve affrontare uno tsunami affettivo, psichico, organizzativo senza strumenti. Privi di familiari disponibili, i nostri anziani in casa sono seguiti da quelle persone preziose che chiamiamo badanti, che affrontano le stesse problematiche presentate dalle ingravescenze degli assistiti. Per la gran parte straniere, le badanti meriterebbero qualche occasione di formazione gratuita e anche altre garanzie, se non ci comportassimo in modo ambiguo e avaro verso gli stranieri. Il Pnrr destina una cifra enorme all’assistenza domiciliare, 2,7 miliardi di euro. Dai precedenti brevi cenni arriva la domanda: in quali case sarà possibile, con quale personale, con che prestazioni, e per quanto tempo? Non credo valga la pena di richiamare la penuria di medici di famiglia o la più grave mancanza di infermieri. Dove possiamo pescare infermieri di famiglia, e per la scandalosa frequenza annua di prestazioni di 12 ore per assistito?
Un mio buon amico scrittore napoletano traduce caregiver in ”curacari”. I nostri anziani devono essere davvero cari alla comunità civile, che deve pretendere dalla politica una vera pianificazione dell’assistenza. Le legge 33 del 2024 non risponde alle reali necessità: crea una linea assistenziale a lato del Servizio sanitario nazionale, prevede decreti attuativi che tardano a essere approvati e infine – ciò che è grave – non prevede finanziamenti dedicati perché all’articolo 8, comma 5, afferma: «Fermo restando quanto previsto dal comma 1, dall'attuazione delle deleghe recate dalla presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. A tale fine, agli adempimenti relativi ai suddetti decreti le amministrazioni competenti provvedono con le risorse umane, finanziarie e strumentali in dotazione alle medesime amministrazioni a legislazione vigente». Il ministro per gli Affari europei contratti una diversa articolazione dei fondi eccessivi dedicati all’assistenza domiciliare per una accurata programmazione della filiera di servizi che – partendo dalla casa, dalla Rsa, dall’ospedale di comunità se non urge un ricovero, fino all’hospice, quando diventasse necessario – si prenda davvero in carico (“prendersi cura”) dei cittadini, titolari del diritto fondamentale alla tutela della salute (articolo 32 della Costituzione) e alla dignità inviolabile (articolo 3).
Dopo la casa, quando i parenti non siano più in grado di affrontate le malattie della persona cara, urge l’assistenza nelle Rsa, sollevando i familiari da quel malessere – quasi un senso di colpa – se devono allontanare da casa il proprio caro. La Rsa – la “vice-casa”– è la risposta a bisogni sanitari che diventano sempre più acuti. Da qui un’altra problematica da sviscerare: devono essere accoglienti, dotate di standard anche minimi ma di elevata qualità per la copertura dei servizi, e diffuse in tutto il Paese. È grande la differenza fra Regioni, e questa è una profonda ingiustizia sociale. Se le Rsa offrono servizi sanitari – l’Azheimer non è una malattia? – la quota sanitaria deve essere uguale per tutti, a carico del Ssn, non delle famiglie. Purtroppo questa affermazione sta facendosi strada solo a suon di sentenze di tribunali, invece che di responsabilità legislativa. La proposta di legge sui caregiver non può trascurare questi dati.
Infine, mi permetto di avanzare una proposta che da anni considero sensata. Serve un unico Ministero della Sicurezza Sociale (perché usare l’inglesismo “welfare”?). I ministeri della Salute, del Welfare, della Famiglia, delle Disabilità frantumano competenze, creano sovrapposizioni quando non conflitti di competenza, aumentano posti e burocrazia. Il Ministero è regia e garanzia dei livelli essenziali uniformi per tutti i cittadini, le Regioni legiferano e attuano. Unione di competenze e risparmi: quanti sono i dipendenti dei diversi Ministeri e quanto il bilancio di ciascuno? Con la razionalizzazione tanti sprechi evitati, e tanti più investimenti a favore dei nostri “curacari”.

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