Dal cortile al mondo: i giovani e cosa manca all’Europa
Perché le nuove generazioni italiane si sentono così poco “europee” e desiderano, in maggioranza, uscire dal nostro Paese

Solo un adolescente italiano su dieci si considera cittadino europeo, e otto su dieci pensano di andare a lavorare all’estero una volta diplomati o laureati. D’altronde il 68% ritiene di poter trovare opportunità migliori, e il 66% di guadagnare di più. C’è un’apparente contraddizione in uno dei tanti risultati del sondaggio sugli studenti delle scuole superiori realizzato dalla Fondazione Luigi Einaudi che si presenterà oggi a Torino in una serata che dice chiaramente dove voglia andare a parare: “L’unione europea fa la forza”.
Evidentemente uno slogan per soli adulti, e neanche per tutti. Perché i nostri figli, dicono i dati, quando guardano all’estero – e capita nella stragrande maggioranza dei casi – saltano proprio l’Europa. È come se dal cortile si passasse direttamente al mondo, senza ricordare che in mezzo c’è un’altra dimensione. Non a caso tutte le domande specifiche sulle istituzioni comunitarie tradiscono una conoscenza e un entusiasmo a dir poco residuali: si salva giusto la bandiera, conosciuta dal 91% dei 1.200 studenti interpellati, ma l’interesse per la politica e in particolare quella dell’Unione europea sono a livello zero.
Bruxelles non scalda i cuori, insomma, e non è una novità. Troppe regole, troppi tecnicismi, poca prospettiva, scarso impatto sulle questioni grandi e piccole che scandiscono la nostra vita. Ma c’è molta responsabilità anche negli adulti: quando esce dai confini domestici, l’attenzione arriva subito oltreoceano, appassionandosi più alle vicende di Donald Trump che alle vicissitudini dei nostri vicini di casa e di destini.
Se dunque, dopo il cortile, si guarda subito al mondo, la contraddizione è solo apparente: i giovani in fondo respirano l’aria degli adulti. E guardano la stessa televisione, che dopo i social rimane la principale fonte d’informazione.
Ma se per un adulto ostaggio della sfiducia il destino è ormai segnato, quando si naviga intorno alla maggiore età – per fortuna – la partita del futuro pare ancora aperta. E le aspirazioni non mancano: un’occupazione che consenta di sentirsi realizzati, la famiglia e in generale gli affetti, la possibilità di viaggiare all’estero sono in cima alle ambizioni. Ambizioni legate alla condizione economica e al lavoro, ciò che più spinge i ragazzi a vedersi all’estero una volta diventati grandi, senza neanche considerarsi bollati come “cervelli in fuga”, ma semplicemente come “parte di una comunità più grande”. Non a caso la libertà di muoversi non è annoverata tra le priorità: è data chiaramente per scontata, e – sorpresa – molto meno apprezzata della libertà di pensiero, della libertà di espressione, della libertà di stampa.
È qui, scorrendo i desideri della generazione Z, che emerge questa volta una contraddizione vera, una specie di difetto della vista che merita di essere analizzato (e corretto?) finché siamo in tempo. L’Europa che i ragazzi non vedono è il contesto in cui più facilmente e più rapidamente possono trovare una risposta le loro ambizioni, per sé e per il mondo in cui vivono. Dove, non a caso, ritengono che l’Unione europea possa proporsi come strumento di pace. Elezioni e sondaggi dicono senza appello che per gli adulti l’Europa, questa Europa, non andrà molto lontano. Siamo ancora in tempo, però, a evitare che lontano ci vadano i nostri figli, senza neanche pensarci. Sondaggiarli è solo il primo passo: sull’Europa occorre ascoltarli – un po’ educarli – e agire di conseguenza.
© RIPRODUZIONE RISERVATA





