Così l'infinitamente piccolo potrà curare le malattie più grandi

La nanomedicina sta studiando dispositivi e materiali ingegnerizzati su scala molecolare: la nuova frontiera intelligente della salute
August 25, 2025
Così l'infinitamente piccolo potrà curare le malattie più grandi
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Infinitamente piccolo, ma grandemente efficiente. È il mondo della nanomedicina, un approccio diagnostico e terapeutico alle malattie che sta rivoluzionando la sanità. Cos’è? Una nuova scienza multidisciplinare che utilizza materiali e dispositivi ingegnerizzati su scala molecolare per trovare soluzioni innovative in ambito medico. Si tratta di strumenti nanotecnologici (nanoparticelle biocompatibili e nanorobot) impiegati a scopo diagnostico per eseguire imaging in vivo e a scopo terapeutico per somministrare farmaci. I medicamenti e i dispositivi nanomedici hanno una dimensione solitamente compresa tra 1 e 100 nanometri (un’unità di misura che corrisponde a un miliardesimo di metro) e vengono somministrati per via orale o tramite iniezione in vena. Il loro effetto terapeutico si basa sull’accumulo selettivo nei tessuti e nelle cellule (nanofarmacologia), mentre le loro potenzialità diagnostiche sono dovute alla capacità di discriminare in modo estremamente selettivo particolari anatomici molto piccoli del corpo umano durante l’esecuzione di esami con tecniche di immagine (nanoimaging). In molte situazioni approccio diagnostico ed effetto terapeutico possono essere combinati insieme, in modo tale che con un unico dispositivo si comprende la situazione patologica che si ha di fronte e si inizia contemporaneamente il suo trattamento. ​
Le somministrazioni farmacologiche nanometriche utilizzano varie modalità di trasporto. I liposomi, microstrutture sferiche simili a vescicole costituite da un doppio strato lipidico che hanno al loro interno una soluzione acquosa in cui sono disciolte sostanze farmacologiche che non sarebbero in grado di entrare direttamente nelle cellule, sono stati i primi nanofarmaci utilizzati. Rimangono ancora oggi le nanoparticelle di maggior successo per il trattamento in ambito oncologico con agenti chemioterapici mirati nel sito bersaglio. Le nanoparticelle polimeriche (i polimeri sono unità chimiche che si ripetono numerose volte e che sono legate linearmente le une alle altre) sono in grado di aumentare l’emivita (la durata di persistenza dell’effetto terapeutico) e la biodisponibilità (il grado e la velocità con cui la forma attiva di una sostanza terapeutica raggiunge il suo sito d’azione) di un farmaco, rendendo più efficace l’applicazione dei medicinali a rilascio controllato. Tra le più comuni nanoparticelle di questa tipologia vi sono i dendrimeri, che sono polimeri ramificati, e gli idrogel, strutture tridimensionali in grado di trattenere grandi quantità di liquidi. Le micelle, particelle costituite da aggregati colloidali di molecole, sono usate per incapsulare farmaci scarsamente idrosolubili (cioè poco capaci di sciogliersi in acqua) per migliorare la loro dissoluzione in ambiente acquoso e quindi faco cilitare il loro assorbimento. I nanocristalli sono invece costituiti dal solo farmaco, su scala nanometrica, il che porta a un aumento della capacità di dissoluzione e della superficie di solubilità, migliorandone la farmacodinamica e determinando automaticamente un miglioramento del suo effetto terapeutico.
​Il trattamento delle patologie oncologiche rappresenta l’area terapeutica più vasta e promettente per l’uso dei nanofarmaci. Diversamente dalla tradizionale e po selettiva chemioterapia, proprio grazie alla piccolezza delle nanoparicelle, è possibile raggiungere agilmente e in modo molto preciso le cellule cancerogene, permettendo al farmaco di aggredire il tumore dall’interno, in modo da eliminare solo le cellule malate e preservare quelle sane. In questo ambito una svolta radicale grazie alla nanomedicina è stata raggiunta di recente nella cura dei tumori del fegato, una delle patologie oncologiche più insidiose e difficili da trattare. Impiegando nanoparticelle d’oro (inferiori a 3 nanometri e quindi rapidamente eliminabili a livello renale) in grado di autoassemblarsi direttamente all’interno del tessuto neoplastico in modo da migliorare la terapia sinergica (cioè combinata) fototermica, con calore localizzato, e chemioterapica, con doxorubacina. In tal modo si è giunti rapidamente alla riduzione prima e alla quasi completa eliminazione poi della massa tumorale epatica senza effetti collaterali significativi sui tessuti sani e sugli organi vitali (cuore, polmoni, rene). Si è in tal modo aperta una prospettiva tecnologica importante applicabile al trattamento anche di altri insidiosi tumori solidi. L'uso di nanoparticelle d’oro è stato utilizzato anche per la terapia di un’altra grave patologia, il morbo di Parkinson, la seconda malattia neurodegenerativa più diffusa al mondo. Il trattamento più comune per gestire i sintomi (tremore e rigidità) di questa forma morbosa, dovuta all’incapacità di neuroni intracerebrali specifici di produrre dopamina (una sostanza chimica che comanda e coordina i movimenti), è quello farmacologico – spesso però non sufficientemente efficace – oppure l’impiego della cosiddetta “stimolazione cerebrale profonda”, una tecnica invasiva che richiede l’impianto cronico di elettrodi nel cervello. Alcuni scienziati cinesi hanno sviluppato un sistema non invasivo di stimolazione cerebrale wireless basato appunto sull’uso di nanoparticelle fototermiche attivate in vivo tramite laser che si è dimostrato in grado di ripristinare la rete nei neuroni dopaminegici che hanno recuperato la loro capacità di rilasciare dopamina. Anche se lo studio è stato per ora realizzato solo a livello sperimentale su modelli murini, tuttavia i risultati ottenuti sembrano realmente in grado di rivoluzionare la terapia del Parkinson anche a livello umano.
L'applicazione sanitaria più futuribile della nanomedicina riguarda l’utilizzo dei nanorobot, macchine biocompatibili di dimensioni vicine a quelle molecolari o addirittura atomiche, capaci di agire sull’ambiente circostante e di modificarlo in maniera controllata. Negli ultimi anni, con l’evoluzione delle tecniche di nanofabbricazione, l’obbiettivo di creare nano robot è divenuto sempre più un traguardo concreto e oggi vi sono robot in grado di muoversi in modo ordinato e controllabile tramite stimoli luminosi, sonori, chimici. Ultimi arrivati robot miniaturizzati dotati di gambe funzionanti, controllate elettronicamente da impulsi magnetici o laser manipolati dall’esterno, che consentono loro letteralmente di “camminare” nell’ambiente biologico in cui si trovano. I ricercatori stanno pensando come potenziarli utilizzano sistemi di controllo più raffinati, in grado di portare “sciami di robot” a svolgere funzioni più complesse di tipo “nanochirurgiche”, come suturare vasi sanguigni, rimuovere occlusioni vasali, eliminare depositi intracellulari.
Tra i campi di applicazione della nanomedicina più affascinanti e promettenti per il futuro particolare attenzione merita la riparazione e la rigenerazione di tessuti e di organi. La ricerca translazionale lavora oggi per effettuare test di bio e neuro-rigenerazione in vivo al fine di creare dispositivi in grado di realizzare processi capaci di intervenire in situazioni di malfunzionamento biologico: ripristinare funzioni fisiologiche perse per danni congeniti o acquisiti, per l’età o per malattie; riparare organi o tessuti danneggiati; sostituire apparati o sistemi inefficienti o anatomicamente compromessi. In ambito rigenerativo le nanotecnologie sono già state applicate con successo per il recupero funzionale di diversi organi umani: ossa, cartilagine, nervi, pelle, denti, trachea, vasi sanguigni, cuore, fegato. La nanomedicina rappresenta quindi una delle nuove frontiere della salute. Una scienza emergente, che impiega dispositivi piccolissimi, programmabili e intelligenti, capaci di svolgere contemporaneamente diversi compiti. Già oggi è utilizzata per diagnosticare e curare diverse malattie, ma le sue potenzialità future rappresentano una prospettiva straordinaria per ridisegnare la storia sanitaria dell’umanità. Senza dimenticare che, come per tutte le nuove sostanze che entrano in contatto con l’organismo umano, anche per i materiali nanostrutturati bisognerà valutarne nel tempo, insieme agli indubbi benefici e alle grandi risorse mediche, i possibili rischi e le potenziali tossicità.
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