Conversioni maturate in carcere, l'opera di don Enzo e suor Cristiana

Un sacerdote e una religiosa testimoniano la capacità di fare breccia nei cuori dei detenuti favorendo percorsi di ripartenza. Storie da Forlì a Biancavilla
July 21, 2025
Conversioni maturate in carcere, l'opera di don Enzo e suor Cristiana
Suor Cristiana Scandura e don Enzo Zannoni
«Quando mi hanno arrestato avevo novecentomila euro sul conto corrente, il frutto dei miei traffici illegali nel mondo finanziario. Ora ho scontato la mia pena, vivo felice con 600 euro al mese e sono guarito dalla carcerite». Franco la chiama così quella malattia che ti prende quando passi le giornate a giocare a carte, a guardare il soffitto della cella, a fumare, a prendere psicofarmaci, a fare i conti dei giorni, dei mesi, degli anni che mancano per tornare liberi. Come ha fatto a guarire dalla carcerite? «Ho incontrato qualcuno che mi ha aiutato a fare i conti con me stesso, a prendere sul serio le domande sulla vita e a non accontentarmi di risposte banali, a scoprire cosa davvero desidera il mio cuore. E per farlo sono andato a scuola: la scuola di comunità». Si chiama così il percorso che tanti detenuti come Franco stanno facendo in compagnia di don Enzo Zannoni, 73 anni, da 15 cappellano nella casa circondariale “La Rocca” di Forlì dopo una vita trascorsa insegnando religione nelle scuole superiori. « Ho incontrato migliaia di studenti e 4.500 carcerati. Sono cambiate le età, le facce, le storie, ma non cambia la domanda che continuo a farmi e che condivido con loro: cosa può dare senso al vivere? È su questo che ci confrontiamo nei nostri incontri in carcere. E il primo a farlo sono io, altrimenti non vale. Più che lezioni di catechismo, serve la testimonianza di chi ha incontrato una ragione per vivere e per sperare». Lui l’ha incontrata nell’esperienza di Comunione e Liberazione, il movimento che ha terremotato la sua esistenza, dove ha imparato anche lui ad andare a scuola di comunità: quest’anno propone ai detenuti un percorso basato sul “Senso religioso”, libro scritto da don Luigi Giussani nel 1966 che esalta la ragione come risorsa per andare al fondo delle domande sull’esistenza e come finestra che si apre sul Mistero. « Insieme ci aiutiamo a paragonare quelle pagine con la vita. È un metodo per scoprire cosa davvero può saziare la fame di felicità che tutti abbiamo. L’esistenza può ripartire dall’incontro con qualcosa che le dà significato e con qualcuno che incarna questo significato: i testimoni. Oggi come duemila anni fa. L’aiuto materiale che posso offrire – la sportina con i prodotti per l’igiene, la busta di tabacco, il piccolo sussidio per le cose di prima necessità, visto che molti entrano in carcere senza un centesimo – è il modo con cui si manifesta la vicinanza di Dio in un luogo dove l’umanità rischia di sprofondare. Mentre condivido i bisogni più elementari, imparo che il primo “bisognoso” sono io. E che l’unico che può rispondere alla domanda di felicità è Cristo. Tutto si gioca dentro rapporti personali, nei quali Gesù non rimane un personaggio vissuto duemila anni fa ma una presenza che cambia la vita: anche nell’inferno del carcere si può incontrare qualcosa che non è inferno, e che accende la speranza». Questo fa breccia nei cuori di molti, credenti e non credenti, anche dei giovani musulmani che partecipano alla scuola di comunità, affascinati dal fatto che si possa essere compagni in un cammino di ricerca e che «le domande sulla vita abitano nel cuore di ogni persona. Entrare in carcere ogni giorno significa verificare se il cristianesimo risponde alle attese degli uomini, non per i nostri meriti ma per la potenza della grazia di Dio». Quella verifica, Franco l’ha fatta mentre era in cella e la fa anche adesso che è tornato libero: per questo continua a frequentare don Enzo che ogni settimana si ritrova con alcuni amici per la scuola di comunità in una chiesa di Forlì. Il passato ogni tanto torna a bussare, i vecchi compagni di malaffare lo cercano per proporgli nuove imprese. « Ma perché dovrei tornare alla vita di prima, ora che ho incontrato ciò che mi rende felice, ciò che ha riacceso la speranza?».
Per qualcuno la speranza è tornata ad accendersi nel dialogo a distanza con chi consuma l’esistenza in un convento di clausura. Da 5 anni Cristiana Scandura tesse una trama di rapporti con i detenuti scrivendo nel monastero di clausura di Santa Chiara di Biancavilla (Catania), dove vive da 36 anni, le sue meditazioni sul Vangelo. Le spedisce ai cappellani di tutte le carceri, che le mettono a disposizione dei reclusi. « Molti mi hanno scritto, sono nate amicizie inaspettate che testimoniano che la grazia di Dio non conosce confini, oltrepassa le grate del monastero come quelle della prigione. Il carcere è luogo di sofferenza ma può diventare luogo di redenzione: le lettere che mi arrivano sono una documentazione commovente di ciò che può accadere nel cuore di chi ha commesso delitti atroci, quando si sente amato. Anche se ha conosciuto l’abisso del male, c’è un bene che lo muove a cambiare vita».Alberto, ergastolano condannato per reati di mafia, racconta della sua conversione e di come si senta «più libero in carcere dopo avere conosciuto Cristo che non prima quando godevo della libertà ma ero schiavo del male». Giuseppe ha trovato una nuova strada dipingendo icone che lo accompagnano in un cammino di fede attraverso la pittura che riempie di senso le giornate in carcere. Alessio, in carcere per avere brutalmente ucciso un giovane tunisino, dopo avere rinunciato a usare la sua condizione di tossicodipendente per ottenere la seminfermità mentale che in primo grado aveva fruttato una condanna lieve, si è assunto per intero le sue responsabilità, memore di Chi ha detto «la verità vi farà liberi». E ha preso trent’anni. Il cammino di conversione, accompagnato dal cappellano, è arrivato fino alla richiesta di pronunciare i voti di povertà, castità e obbedienza nelle mani del vescovo di Reggio Emilia, Giacomo Morandi. «Conoscere queste storie, entrare in relazione epistolare con le persone detenute, pregare ogni giorno per loro, condividerne il percorso di redenzione è una grazia che arricchisce la mia vocazione di claustrale e conferma che la vera libertà si può trovare anche in carcere ». Suor Cristiana – che aveva dato inizio a quella che considera «una vocazione nella vocazione» dopo essersi confrontata con i superiori, con l’arcivescovo emerito di Catania, Salvatore Gristina, e con quello attuale, Luigi Renna – ha ricevuto l’incoraggiamento di Papa Francesco che in una lettera la esortava a «continuare con coraggio e creatività a compiere quest’opera di misericordia, facendo sentire l’amore e la tenerezza di Dio alle persone che servirà» e le augurava di conservare «sempre la gioia che è un dono prezioso di Dio, contagiando anche gli altri». Un contagio che passa anche nei libri scritti in questi anni: Un raggio di sole oltre le grate e Dalle tenebre alla luce (pubblicato in occasione del Giubileo), dove ha raccolto le meditazioni sul Vangelo inviate alle carceri italiane e alcune lettere ricevute dai reclusi. Il 10 giugno a Belpasso (Catania) è andato in scena il musical Oltre le grate, per la regia di Armando Bellocchi, cooperatore salesiano, che racconta alcune storie di redenzione incontrate da suor Cristiana grazie ai rapporti epistolari nati in questi anni. Un esperimento che prossimamente potrebbe essere riproposto in altre sedi, «per testimoniare i percorsi di cambiamento che accadono anche nei luoghi più duri e nei momenti più difficili dell’esistenza. Quando gli uomini aprono il cuore a una misericordia che non conosce confini, Dio può compiere meraviglie».
(15 - continua)

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