Basta con le risposte facili ai giovani: con loro nelle domande

La società di oggi, tra distrazioni e superficialità, tende a soffocare la ricerca interiore. Ma i ragazzi si interrogano su questioni esistenziali. Tra fragilità, dolore, fallimenti e incertezze
September 2, 2025
Basta con le risposte facili ai giovani: con loro nelle domande
Archivio | Le nuove generazioni riconoscono quanto sia difficile il continuo interrogarsi da cui sono incalzati, eppure non rinunciano alle domande
«Credo che in noi giovani, come in ogni uomo, vivano delle domande profonde. Spesso le trascuriamo, perché fare spazio ad esse è molto faticoso e ci rende inquieti e, forse, è più facile accontentarsi delle risposte più superficiali o di alcune distrazioni di cui riempiamo le nostre giornate; ma alla fine ci ritroviamo sempre insoddisfatti. Siamo intrappolati in un sistema troppo veloce e produttivo, che ci offre tante distrazioni pur di non fermarci su ciò che ci sta realmente a cuore. Ci sembra di essere costretti a stare al suo passo per non perderci. In un mondo in cui apparire è più importante che essere, in cui fare è necessario e stare sempre più difficile, mi chiedo come sia possibile uscire da questa corsa e vivere le emozioni più difficili o dolorose. Come sia impegnativo star quieti a riflettere e ricercare un senso nelle nostre giornate, senza dover continuamente scappare. In un mondo in cui la performance e la nostra immagine è ciò che conta, come si accetta di fallire, di essere fragili? Come possiamo dare valore a questa fragilità e apprezzare i nostri limiti e le nostre debolezze? Come possiamo amare le debolezze altrui, perdonare chi intorno a noi si mostra fragile ed umanamente sbaglia? Imparare a stare anche nel vuoto e ad apprezzarne il valore? Non imporsi di essere sempre felici, ma accettare di attraversare anche il dolore e l’inquietudine? Come si trova una libertà autentica? Verso dove si cammina per trovare un senso? Quali sono i valori di questa nuova società e noi, in quanto giovani, come nuovo futuro per questo mondo, in cosa scegliamo di credere, cosa vogliamo abbattere e ricostruire?».
Ho scelto di dare inizio a questa riflessione con le parole di una giovane, Cecilia, romana, laureanda in lettere classiche. Come tanti suoi coetanei, è una persona in ricerca, con la lucida consapevolezza dei molti interrogativi che un giovane oggi deve affrontare per essere se stesso. Le nuove generazioni riconoscono quanto sia difficile il continuo interrogarsi da cui sono incalzati, eppure non rinunciano alle domande, perché - come dice sempre Cecilia - «ciò che ci rende davvero vivi è la ricerca continua ed instancabile, è non avere certezze».
I percorsi dei giovani sono tortuosi e aspri e hanno origine più dal dolore che dall’inquietudine: è il disorientamento di fronte ad una vita che sentono di affrontare da soli, spesso senza avere o senza percepire accanto a sé delle figure di riferimento che abbiano ai loro occhi la credibilità dei testimoni. Spesso ciò che emerge da questa sofferenza è la percezione di un non senso che sembra togliere valore alla vita. L’uscita dal dolore per non pochi di loro è un atteggiamento di ricerca attraverso cui danno un nome ai loro interrogativi, scavano in esso, vanno sempre più in profondità alla scoperta del valore che ha, per loro, la loro vita. Le domande che si pone Cecilia sono il frutto di un percorso che, nelle forme più diverse e imprevedibili, ha dato una direzione alla sua ricerca. Le sue domande non sono molto diverse da quelle che si pongono molti giovani. Vorrei dire: tutti i giovani, ma non è così. Non tutti hanno il coraggio di attraversare il deserto del dolore e riuscire a dare ad esso parole, a riconoscere in esso le oasi, a trovare in esso qualche compagno di viaggio. Se questo non accade, le domande possono venir sepolte sotto una coltre di indifferenza e di superficialità, o soffocate in molti altri modi, talvolta distruttivi.
Le domande che si pongono i giovani sono simili a quelle cui ha dato voce Cecilia: riguardano la vita e la morte, il futuro e i propri progetti di vita, riguardano Dio. Tutte fanno capo in modo più o meno esplicito alla questione delle questioni: il senso della vita. È una questione che si fa prepotente soprattutto nei momenti di difficoltà; sono molti i giovani che ricordano il periodo della pandemia come quello che li ha resi più consapevoli, ha reso il loro sguardo sulla vita più disincantato, meno superficiale, più pensoso facendo apparire la vita più preziosa e delicata, imprevedibile e fragile. «La vita è meravigliosa - dice una giovane - nel senso che è sempre ricchissima di sorprese, non sempre per forza positive, ma che ti fanno stupire, sanno arricchirti a seconda del modo in cui le attraversi». Porsi la questione del senso aiuta ad avere nuovi occhi per vedere la propria vita. L’esperienza del dolore, il proprio, quello delle persone care e anche quello del mondo, accende ricerche profonde, che coinvolgono anche la fede. Anche le domande che riguardano il dolore, pur non essendo molto frequenti, rivelano una ricerca che riconduce al senso della vita, all'ingiustizia e alla fede. Il dolore innocente, specialmente quello che colpisce i più deboli, è ciò che genera i dubbi più forti. «Perché c’è così tanto dolore al mondo?», si chiede un giovane, e una sua coetanea: «Perché muoiono i bambini. Se Dio esiste, perché permette la sofferenza?».
L’ascolto dei giovani fa emergere la forza delle domande come una caratteristica che li qualifica: non hanno certezze e non vogliono averne: si sentirebbero come prigionieri di esse. Non hanno paura dell’inquietudine, perché si rendono conto che quando sono sospinti da essa possono andare più in profondità nella comprensione di sé, della propria identità, del senso della vita. La loro posizione non è quella nichilista o relativista di chi rifiuta una verità, ma di chi si rende conto che la verità, anche quella su se stessi, è sempre al di là della comprensione che si può avere di essa. È una forma contemporanea dell’affermazione di Agostino che nelle Confessioni scrive che «il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te», nel Dio che costituisce la forza che attrae di continuo a sé e che al tempo stesso si sottrae, per sospingere sempre oltre, al di là di noi stessi, del tempo, dei confini entro cui rischiamo di rinchiuderci.
Le domande, accolte e coltivate, appaiono così, nella sensibilità di molti giovani, un’espressione della loro spiritualità, che nella ricerca interiore ha il suo respiro. Un giovane afferma: «Essere spirituali significa farsi domande». Affiora in questa affermazione la consapevolezza che gli interrogativi e l’inquietudine che li accompagna sono ciò che mantiene in movimento la parte più profonda di sé, ciò che mantiene vivi.
La sensibilità dei giovani che sono rimasti nella comunità cristiana, ascoltati anch’essi nell’ambito di una ricerca dell’Osservatorio dell’Istituto Toniolo, è più orientata alle risposte che alle domande. Sorprende come la loro elaborazione delle questioni che riguardano la fede, la vita e il suo senso siano più superficiali, sbrigative, poco elaborate. È un dato che non può non colpire soprattutto quanti nella comunità cristiana hanno delle responsabilità sul piano formativo. Non si può pensare che i giovani che sono rimasti in un contesto ecclesiale siano tutti più superficiali e scontati di quanti se ne sono allontanati. Un’altra è l’ipotesi: i giovani che hanno consuetudine con i contesti formativi della Chiesa hanno ricevuto molte risposte e se ne sono accontentati. Ma la risposta troppo poco maturata esaurisce la domanda e interrompe quel processo di indagine che porta sempre più in profondità.
Agli adulti che spesso hanno troppa fretta di fornire risposte i giovani sembrano suggerire una “pedagogia della domanda”, dell’interrogarsi, del non averne paura; se una cosa gli adulti devono insegnare loro, non è il frettoloso rifugiarsi in risposte rapide, ma piuttosto la capacità di abitare le domande, di non lasciarsene spaventare, di aver fiducia che nell’ospitare le domande si ospita una forza di vita che aiuta ad andare sempre al di là. I giovani non vogliono accanto a sé adulti che diano loro le loro risposte, ma piuttosto dei compagni di viaggio, persone che si stanno ancora ponendo interrogativi e che possono accompagnarli nella loro ricerca perché sono, come loro, dei cercatori.
(3 - continua)

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