Arras, la città "reduce di guerra" che ha costruito la sua speranza
Mentre certi parigini sbeffeggiano chi sogna la pace, in queste contrade del nord si moltiplicano i progetti per trasformare un passato dolorosissimo in una sinfonia di fiducia

Strada facendo, alle porte dello splendido capoluogo settentrionale francese di Arras, sede episcopale, s’impone un paesaggio segnato pian piano da tonalità brune e rossastre: quasi come sulle carte da gioco d’Oltralpe che hanno traversato le frontiere e le epoche. Qui, l’antica Via Francigena che punta verso Roma scivola pure in mezzo a forme inusuali. Sopra l’orizzonte, infatti, troneggiano i neri terrils, le colline artificiali ottenute dai detriti di scavo dell’ex bacino carbonifero, dove lavorarono pure migliaia d’italiani. Fra gli edifici, intanto, s’infittiscono i mattoni porporini. Se amate il ciclismo, sapete tutto dell’«inferno del Nord», la Parigi-Roubaix che spezza le gambe fra queste terre, allineando come trappole gli scivolosissimi pavés. Ma pur ammaccati, i ciclisti si rialzano sempre. E a pensarci bene, sembrano omaggiare così un po’ la gente locale, messa in ginocchio non si sa più quante volte, fra guerre, bombardamenti, crisi economiche nerissime.
Con simili trascorsi, il cuore di Arras pare un prodigio inaudito: ben 155 eleganti facciate dai pignoni arrotondati, in stile barocco-fiammingo, allineate sulle due piazze principali quasi contigue. Il capoluogo con la più alta densità di monumenti inventariati in Francia. Una specie di nordica città ideale. Con in più una vitalità goliardica e sorprendente, come ha provato il lancio, nel 2023, del ‘Campionato del mondo della Patatina fritta’, divenuto subito un successo clamoroso, con una competizione aperta pure agli stranieri. Ma tanto splendore ricorda pure l’humour memorabile di Guido Orefice rivolto al figlio, in La Vita è bella, di Roberto Benigni. Una lotta e un equilibrio continui. Perché dietro le architetture ridenti, resta la scia delle ferite e dei traumi di lungo corso. Basti pensare che numerosi edifici di Arras vennero distrutti durante la Prima Guerra mondiale, prima d’essere scrupolosamente ricostruiti. Siamo già dalle parti del tiremmolla bellico spaventoso fra gli ex “nemici ereditari”, Francia e Germania. Se la storia del Vecchio Continente è stata un ciclone, il suo occhio calmo si trova forse oggi a una manciata di chilometri a nord di Arras, sulla collina intitolata alla Madonna di Loreto.
Per arrivarci, seguiamo un sentiero in pendenza punteggiato di papaveri. Ma una volta in cima, lo scenario soffoca la voglia di parlare. Attorno alla basilica, ben 20mila croci o steli chiare allineate. Negli ossari, i resti di altri 22.970 soldati. La necropoli militare più vasta di Francia, legata ai mesi fra l’ottobre del 1914 e del 1915. Un «inferno del Nord» d’un altro genere. Discutiamo con le “guardie d’onore” che si alternano sul posto per tutto l’anno, con berretti neri e cravatte. «Si celebra la Messa ogni domenica. Nei siti militari, altrove, non si fa. Ma qui è diverso. Ci sono una chiesa e una cripta, abbiamo un cappellano. La ricorrenza più sentita è per l’Armistizio, l’11 novembre. Se vuole visitare l’Anello della Memoria, scenda un po’ oltre la collina», ci spiega uno di loro, con gravità. L’anello in questione, impressionante, è stato inaugurato per il Centenario, nel 2014. Un memoriale ellittico di 129 metri di lunghezza che riunisce in ordine alfabetico 580mila nomi di caduti di 40 nazionalità nella regione, senza più distinzioni di divisa. Più di mezzo milione, sì, simbolicamente posti attorno alle margherite sul prato in declivio. Lungo il corridoio d’ingresso, la parola «pace» è tradotta in ogni lingua. E in un luogo simile, non vorresti proprio imbatterti in qualche opinionista parigino alla moda che magari, in un talk show televisivo, ha appena irriso la «pace da cimitero» attribuita a chi legge ancora testi come Per la pace perpetua del filosofo Kant, o altri classici del pacifismo. Sul posto, invece, più parli con i locali, più ti accorgi che conoscono un duplice rimedio contro i sarcasmi e le disillusioni da grande capitale. L’umiltà di chi sa di dover sempre risalire una china. La generosità di chi si è ritrovato almeno una volta ad aiutare nel fango. «Abbiamo forse tanti difetti, ma non siamo mai campanilisti. Non vantiamo figure storiche straordinarie, ma ce la siamo cavata spesso con il collettivo», ci dice Marion, simpatica guida sollecitata dai visitatori. Le stesse qualità umane al centro del film Bienvenue chez les Ch’tis — uscito in Italia con il titolo Giù al Nord — che nel 2008 polverizzò ogni record di sempre ai botteghini francesi per una produzione nazionale, raccontando spiritosamente di un impiegato postale ‘sudista’ imbottito di pregiudizi verso il Nord, dove viene trasferito, prima di ricredersi a contatto con il calore dei locali.
Mentre certi parigini sbeffeggiano chi sogna ancora la pace, fra le contrade settentrionali che incrociamo via via lungo la Francigena, si moltiplicano i progetti per trasformare un passato dolorosissimo in sinfonie di speranza. «È vero, a livello culturale, abbiamo sofferto a lungo l’effetto psicologico delle macerie belliche. Come paralizzati al momento di confrontarci con il resto della Francia i cui monumenti non erano stati rasi al suolo. Ma le cose stanno cambiando in fretta», ci dice Frédérique Macarez, 47 anni, sindaca di Saint-Quentin, il capoluogo più popolato della vasta provincia rurale dell’Aisne, “tagliata” in due dalla Francigena. Dopo la Prima Guerra mondiale, non pochi edifici ricostruiti abbracciarono l’innovativo stile geometrico Art déco. Un’eredità oggi vieppiù rivendicata come simbolo di riscatto sociale e turistico. In proposito, Bernard Delaire, delegato comunale al patrimonio, ci mostra la splendida buvette della stazione ferroviaria, fra specchi, pavimento stellato, orologi e mobilia di un’eleganza mozzafiato. Un gioiello unico in Francia, pronto a riaprire al pubblico dopo un accurato restauro. Ma a volte, il riscatto prende un respiro europeo, parlando pure la nostra lingua, come constatiamo un po’ più a sud, a Craonne, lungo il vecchio fronte del ‘Cammino delle Signore’, dove la Francigena punta già verso Reims. Nella foresta locale, i paesaggisti Lorenza Bartolazzi, Luca Catalano e Claudia Clementini hanno piantato 592 paletti simili a fiammiferi, omaggiando così i 592 caduti italiani sepolti nel vicino cimitero militare di Soupir. Questo poetico «Giardino della pace italiano» invita a riflettere sul vuoto lasciato dai conflitti e fa parte di un circuito di una quarantina di creazioni originali suggestive, ogni volta in collaborazione con Paesi stranieri, come Germania, Belgio, Gran Bretagna, Irlanda, Portogallo, Polonia, Danimarca, Repubblica Ceca, Slovacchia. «I giardini sono resilienti e la pace appartiene a tutti i protagonisti d’un conflitto. Per questo, con pazienza e convinzione, abbiamo deciso di riunire, lungo l’ex fronte, dei paesaggisti e architetti dei Paesi belligeranti per creare giardini dei colori delle nazioni straziate dal conflitto», spiega Gilbert Fillinger, promotore di un progetto molto proiettato su scala europea. Mentre il polmone orientale del Continente versa sangue nell’Ucraina suppliziata, c’è chi cerca pure di mostrare, lungo la Francigena, che le guerre non finiscono mai del tutto con gli armistizi. Così, il giardino italiano di Craonne suona pure come un monito circa le «zone rosse», i boschi francesi mai sminati e ancor oggi proibiti, simili a vecchi tentacoli urticanti sempre sinistramente attivi: un fosco cugino paesaggistico del retaggio, sul fronte psichiatrico, noto come disturbo da stress post-traumatico. Prima di morire, il filosofo cristiano Bruno Latour, ispiratore di tanti credenti impegnati sul fronte sociale o ambientale, ha spesso esortato ad abitare responsabilmente la nostra epoca complessa con l’umiltà quotidiana di chi vuole «rattoppare» strappi e ferite. Accademicamente, si tratta dell’intellettuale francese recente più citato in assoluto. Ma alla fine, stranamente, è come se avesse preso un passo simile a quello di tanti che abbiamo incrociato in contrade anche fra le più anonime della sorprendente Francigena.
(2 - continua)
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