Abbandoniamo il tempo della forza e inoltriamoci nel tempo del dialogo
C’è una transizione da realizzare alla quale possono contribuire tutti, in qualunque scenario vivano, purché non cedano al pessimismo che considera la guerra ineluttabile

La pace è scomparsa dall’orizzonte di tanti Paesi. Ma anche dall’orizzonte internazionale come riferimento fondante. La guerra è stata riabilitata. Addirittura - da alcuni - considerata connaturale alla vicenda umana. Siamo in piena età della forza. Ne risente anche il linguaggio internazionale, divenuto propaganda o spesso teatro. Un teatro che non diverte. Fa paura. Ogni giorno si inietta una dose di paura nei popoli: paura della guerra, addirittura atomica, della violenza, dell’altro. Dal mondo si rovescia ogni giorno sulla vita quotidiana una cultura della violenza, che fa presa e cambia i rapporti tra le persone. I leader di differenti Chiese e Religioni mondiali, si sono riuniti nello spirito di Assisi convocati dalla Comunità di Sant’Egidio, per l’annuale incontro di preghiera e di dialogo a Roma, proprio nei giorni in cui ricorreva il sessantesimo anniversario della Nostra Aetate e il trentanovesimo di Assisi. Hanno lanciato un Appello: «Abbandoniamo il tempo della forza e inoltriamoci nel tempo del dialogo e della negoziazione, che solo può dare pace e sicurezza». L’Appello è stato proclamato ieri pomeriggio, alla presenza di Leone XIV, di fronte al Colosseo e all’arco di Costantino, in un luogo denso di memorie (anche di guerra e violenza), al termine di tre giorni di fraternità e dialogo. Non si tratta di un Appello soltanto, ma della manifestazione della volontà delle religioni di costruire cammini di pace nella preghiera e nell’incontro, nonostante la politica spesso vada in altro senso. È un aspetto non irrilevante della resistenza alla guerra: quello dei credenti, al di là delle differenze tra di loro.
Leone XIV ha dato il suo sostegno a questi cercatori di pace, unendosi a loro: «Vi ringrazio - ha detto - perché siete venuti qui a pregare per la pace, mostrando al mondo quanto la preghiera sia decisiva». Ha aggiunto: «Abbiamo fede che la preghiera cambi la storia dei popoli». Da qui nasce la ferma convinzione, anche in età così dure, che il male non possa vincere. E la guerra è il male, con il suo corteo interminabile di dolori e conseguenze nel tempo. La storia dei popoli, il futuro dei bambini, non possono essere sequestrati dai disegni violenti. «Il mondo ha sete di pace» - ha detto il Papa. I popoli la vogliono, i feriti dalla guerra, i profughi e tanti altri la implorano. La pace è stata sequestrata da pochi, da politiche imperialistiche o terroristiche, da ideologie nazionalistiche, da interessi economici, dall’orgoglio di non dialogare. Bisogna liberarla! Tanto può la preghiera dei credenti. Ma tanto possono le loro azioni, una volta risvegliati dall’indifferenza o dalla paura. Infatti, anche nelle nostre Chiese e tra noi, l’impotenza di fronte alla grande politica e ad armi potenti, ci fa sentire impotenti. Che possiamo fare noi gente qualunque? Ma dall’impotenza si scivola facilmente nell’indifferenza, ci si rinchiude nella propria bolla, sperando di non essere toccati dai conflitti. Lo si vede anche nelle nostre Messe domenicali, in cui - così constato talvolta - si prega poco per la pace. C’è da ripartire con decisione: «Noi ricominciamo da Assisi, da quella coscienza del nostro compito comune, a quella responsabilità di pace» - ha detto Leone. Nei tre giorni d’incontro a Roma, a partire da diverse posizioni religiose e politiche, è emersa una convergenza nella convinzione che «il mondo soffoca senza dialogo» (papa Francesco). E il dialogo deve riaccendersi a tutti i livelli, rianimare l’incontro e la diplomazia, percorrere la società. È una cultura della pace mossa da una matura persuasione che «un’altra storia è possibile» (Leone XIV). Il Papa ha colto quello che emerge dai lavori e che si ritrova nell’Appello finale, esprimendolo con le parole di La Pira: «Ci vuole una storia diversa del mondo: la storia dell’età negoziale, la storia di un mondo nuovo senza guerra».
C’è una transizione da realizzare. Dall’età della guerra e della violenza all’età del dialogo e del negoziato. A questo possono contribuire tutti, in qualunque scenario vivano, purché non cedano al pessimismo che considera la guerra ineluttabile. Come papa Leone ha mostrato, la pace è centrale della vita della Chiesa. Lo ha fatto invitando ogni comunità o parrocchia a trasformarsi in “casa di pace”. Forse dovremmo essere meno attaccati ai nostri programmi e cogliere i segni dei tempi e la sete di pace di tanta gente vicina e lontana. Il Papa ha concluso il suo discorso, in sintonia con i leader religiosi che - prima dell’Appello - avevano pregato secondo le diverse tradizioni religiose, dicendo: «Ci facciamo voce di chi non è ascoltato e non ha voce. Bisogna osare la pace! E se il mondo fosse sordo a questo appello, siamo certi che Dio ascolterà la nostra preghiera e il lamento di tanti sofferenti. Perché Dio vuole il mondo senza guerra. Egli ci libererà da questo male!». Le parole del Papa fanno eco al sentire dei leader religiosi, ma non possono non coinvolgere i cristiani, che sono, come diceva Clemente d’Alessandria: eirenikòn genos, un popolo di pace.
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