«La mia Sofia, uccisa a 20 anni dal suo ex. Così sopravvive una madre»

di Antonella Mariani, Cologno Monzese (Milano)
L'omicidio nel luglio 2023 a Cologno Monzese, il giovane si era nascosto nell'armadio e l'ha accoltellata nel sonno nella sua camera da letto. Due anni dopo, le parole di Daniela Castelli: il dolore non mi lascia mai, ma non ho smesso di amare
November 24, 2025
«La mia Sofia, uccisa a 20 anni dal suo ex. Così sopravvive una madre»
Sofia Castelli con mamma Daniela / D.Z.
In casa di Daniela si entra in punta di piedi. Sofia è dovunque, nelle fotografie di famiglia sparse nel salotto, sorridente, i capelli lunghi bruni, così somigliante alla mamma. È qui, in quella stessa casa in una delle strade principali di Cologno Monzese, primo hinterland di Milano, che la notte del 29 luglio 2023 è accaduto tutto. Sofia Castelli, 20 anni, e l’amica Aurora rincasano da una serata in discoteca. Le due ragazze sono sole a casa Castelli: i genitori sono in vacanza. L’ex fidanzato di Sofia, Zakaria Atqaoui, 23 anni, si è impadronito di un mazzo di chiavi, si è nascosto nell’armadio della camera da letto e mentre Sofia dorme l’accoltella a morte.
A due anni di distanza, sono tante le iniziative sorte nel nome di Sofia: le sono state intestate aule scolastiche e universitarie, progetti antiviolenza e tornei sportivi. Daniela, tutto questo aiuta?
Sì, aiuta. I primi mesi non volevo parlare con nessuno, c’ero solo io e il mio dolore. È stata Aurora a farmi uscire dalla mia riservatezza. Lei, l’amica del cuore, mi ha chiesto il permesso di parlare di Sofia nelle scuole o in incontri pubblici, perché la faceva bene. Allora anche io ho iniziato a uscire dal mio isolamento. Io, mio marito e il mio figlio più piccolo siamo stati supportati dal punto di vista psicologico; non per lenire il dolore della perdita, che non passerà mai, ma per non perderci noi tre come famiglia.
Ed è successo? Non vi siete persi?
No, non ci siamo persi. Ma ognuno di noi, alla fine, affronta da solo come può il proprio dolore. Mio marito si è impegnato come allenatore di calcio. Io sono maestra di scuola materna, il mio lavoro mi ha salvato e continua a salvarmi. Il contatto con i bambini, l’abbraccio dei miei colleghi. E poi c’è la gattina Barbie, che ha aiutato molto mio figlio.
Perché Barbie?
Una settimana prima di essere uccisa, con Sofia e due sue amiche siamo andate a vedere il film “Barbie”. Lei aveva voluto comprare il telo per il mare e altri accessori, c’è una sua foto vestita di rosa. Io la chiamo “la settimana Barbie”. L’ultima della sua vita.
Sofia Castelli
D.Z.
Daniela, si può continuare ad amare dopo aver perso una figlia così come l’avete persa voi?
Non ho mai smesso di amare, con tutti i mostri che posso aver dentro di me. Quando è morta Sofia, la cancellata del nostro palazzo era piena di fiori e di cartelli. I miei colleghi avevano portato un lenzuolo con la scritta: “Ti ricorderemo insegnando l’amore”. Questa frase la porto sempre con me. Sofia aveva svolto supplenze in varie scuole di Milano, l’ultima è stata la mia. Ecco, l’ultimo giorno di lavoro della vita di mia figlia è stato nella mia classe, con i miei bambini. Era martedì, e lei è stata uccisa il sabato notte.
È successo tutto nella vostra casa. È stato difficile rientrare?
Abbiamo pensato di cambiare casa, certo, ma la vita di Sofia è tutta qua dentro. Lei ha vinto sulla morte, perché qui ci sono solo ricordi belli.
Perché è successo?
Me l’hanno chiesto in tanti. Non ho una risposta, non so perché è morta mia figlia. Sofia è sempre stata libera, non ha mai conosciuto la violenza in vita sua. Con Zakaria stavano insieme da 4 anni, lui aveva vissuto in casa nostra per un anno, durante il periodo del Covid, perché era solo, senza la sua famiglia accanto. Noi eravamo tutto ciò che aveva. Ma Sofia amava la propria autonomia, viaggiava e usciva con le amiche. Si erano lasciati più volte, l’ultima 20 giorni prima dell’omicidio, ma davvero non c’erano segnali. Forse lui l’aveva in pugno perché lei provava pena, compassione per lui.
Avete più rivisto Zakaria?
Lo abbiamo visto dopo 6 mesi, in tribunale. La testa non arriva a odiare improvvisamente una persona a cui si è voluto bene, così all’inizio mi sembrava come se fossero sparite dalla mia vita due persone. Anche di questo mi sono sentita in colpa: come potevo non odiare colui che ha ucciso mia figlia? So che tanti non capirebbero, ma io ho subìto due lutti. A lungo non ho accettato che fosse stato lui. Ma oggi è diverso: dopo un lungo percorso personale sono riuscita a oggettivare Zakaria e a separare i ricordi di mia figlia, che oggi sono la cosa più preziosa che ho, da quelli di Sofia con lui. Adesso vorrei che lui sparisse dai miei pensieri, annullarlo dalla mia vita.
Lui non ha mai provato a spiegare cosa l’ha spinto a uccidere Sofia?
No, mai.
Zakaria è stato condannato a 24 anni. Come avete vissuto il processo?
Ci ha fatto soffrire. Temevamo che gli togliessero le aggravanti, ma in realtà sono state le attenuanti che gli hanno abbassato la pena. Una era la giovane età, come se anche Sofia non fosse poco più che una bambina. L’altra che dopo l’omicidio ha fermato una pattuglia per strada e si è consegnato. Ho convissuto per mesi con il senso di colpa. Mi chiedevo: se avessi reso tutta la vicenda più mediatica, se mi fossi esposta di più, Zakaria avrebbe avuto l’ergastolo? Oggi non la penso più così: anche in casi molto più mediatizzati del nostro sono state concesse attenuanti o negate aggravanti.
Come sopravvive una famiglia a una tragedia come questa?
A distanza di due anni e mezzo, non ho una risposta. All’inizio pensi di dover morire, come se fosse una conseguenza inevitabile, e tuttora ci sono momenti così dolorosi da togliere il fiato, poi ti rendi conto che respiri ancora, che dormi, che mangi, che ti alzi al mattino. E allora decidi che va bene, vivrai per lei. Però è una lotta, e ogni passo avanti fai due passi indietro, perché non vuoi veramente vivere senza tua figlia, non lo vuoi.
Ci sono momenti dell’anno in cui è particolarmente difficile convivere con il dolore? Il 25 novembre, il compleanno, Natale…
Sofia preparava l’albero in quell’angolo del salotto, sceglieva lei le palline. Io e mio marito non lo facciamo più. In famiglia abbiamo creato un altro Natale, diverso, perché quello di prima, con Sofia, non si può più avere.
Elena Cecchettin all’indomani del femminicidio della sorella Giulia, solo 3 mesi dopo la morte di Sofia, aveva parlato di Turetta come di un frutto del patriarcato. Direbbe lo stesso di Zakaria?
Il patriarcato esiste, ma se penso alla storia di mia figlia vedo  gelosia, e invidia. Sofia aveva da poco preso la patente, lavorava e studiava Sociologia. Lui era più indietro e forse non sopportava l’idea che lei, una donna, lo precedesse nella costruzione del proprio futuro.
Uno dei progetti che avete portato avanti in questi due anni, insieme a Scarpetta Rossa, riguarda la sensibilizzazione contro la violenza nelle scuole e si chiama “Ora parla Sofia”. Ma cosa dice oggi Sofia?
Io penso che ci stia dicendo di proseguire questi progetti per gli altri nel suo nome, e di continuare a portare il suo amore nel mondo. E ci dice di non soffrire più per lei.
Alla violenza sulle donne è dedicata il numero di questa settimana di Sofia, la newsletter di Avvenire per tutta la famiglia. Leggila qui.  
 

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