mercoledì 16 giugno 2021
Dopo un anno di vanno ripristinati gli obblighi del collocamento mirato. E va studiata una strategia per il milione di iscritti alle liste speciali. Le buone pratiche di Fondazione Adecco e Jobmetoo
Disabili al lavoro: come recuperare il terreno perso con la pandemia
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La priorità, ora, è ripristinare gli obblighi del collocamento mirato. E assieme dar vita a un confronto per un piano straordinario di inserimento al lavoro delle persone con disabilità. Perché se c’è una categoria che è stata sostanzialmente “messa da parte” in questi mesi di pandemia è proprio quella dei disabili: niente assunzioni, niente inserimenti mirati, stage sospesi. Mentre, per chi era già occupato, il massiccio ricorso alla cassa integrazione e allo smart working ha avuto due volti: una facilitazione fondamentale per alcuni; una nuova emarginazione, l’amputazione di un fondamentale rapporto sociale quotidiano, per altri.

Se tanto è cambiato per tutti i lavoratori con la pandemia, questo è ancora più vero per chi soffre di una patologia importante o sconta una difficoltà cognitiva. Da marzo 2020, infatti, sono stati sospesi gli adempimenti a cui le aziende sono tenute dalla legge 68 del 1999 per favorire l’inserimento lavorativo delle persone con disabilità nelle aziende oltre i 15 dipendenti. «Sono stati 14 mesi difficili e purtroppo sprecati perché, nonostante le nostre continue richieste, non c’è stato alcun confronto su questo tema, su come ripartire dopo l’emergenza sanitaria, né con il governo Conte II, né finora con l’esecutivo guidato da Draghi», spiega Nina Daita, responsabile nazionale delle politiche a favore dei disabili della Cgil. «Adesso occorre aprire un tavolo istituzionale con tutti gli attori della filiera scuola, lavoro, politiche attive e cura sociale per ripristinare i processi di inclusione sociale e investire bene i fondi stanziati nel Pnrr».

Prima di questo annus horribilis l’inserimento al lavoro delle persone con disabilità era in miglioramento, anche se a una velocità ancora molto limitata. Gli ultimi dati ufficiali, quelli della IX Relazione di Ministero del Lavoro e Inapp aggiornati al 2018, infatti, evidenziavano, una crescita sia delle iscrizioni all’elenco del collocamento mirato, arrivato a quota 900mila tre anni fa (oggi oltre un milione), sia delle assunzioni: ben 62mila nel 2018. A fronte, però, di un ritmo di nuove iscrizioni che viaggia da tempo tra le 80mila e le 100mila ogni anno.

Al di là delle forti differenze territoriali tra Nord e Sud Italia, la relazione poneva in evidenza l’effetto positivo congiunto di nuovi obblighi normativi (assunzione anche nelle aziende tra 15 e 35 dipendenti), incentivi contributivi e la possibilità di chiamata nominativa prevista dal Jobs Act. Riforma, quest’ultima, che molti osservatori considerano a “doppia faccia”, perché agevolerebbe sì gli ingressi complessivi nelle aziende, favorendo in particolare quelli di persone con basse percentuali di invalidità (basta il 46% per ottemperare all’obbligo di legge) e rendendo invece difficilissima l’inclusione di disoccupati con disabilità più serie o di natura intellettiva. «Per i quali andrebbe comunque riservata una quota del 30% sui collocamenti», spiega ancora Nina Daita.

Altri due dati molto interessanti si possono ricavare, poi, da un rapporto della Fondazione studi dei Consulenti del lavoro del dicembre 2019. Il primo è che, a fronte di 360mila persone con disabilità occupate nelle aziende a quella data, risultavano ben 145mila i posti di lavoro ancora vacanti, pari a quasi il 30% della quota di riserva. Segno che le aziende sono ancora lontane dall’assolvere fino in fondo l’obbligo di legge, ma anche che lo spazio potenziale per l’inclusione è ampio.

Il secondo dato riguarda invece le imprese con meno di 15 dipendenti, che dunque non sono sottoposte ad obblighi di legge, ma nelle quali si è verificato il 10% degli avviamenti al lavoro, testimoniando così di una sensibilità sociale che va crescendo e che potrebbe essere ulteriormente sostenuta e incentivata. Sensibilità in crescita e spazi di mercato: sono i due fattori sui quali è nata e cresciuta l’esperienza di Jobmetoo, la prima piattaforma digitale dedicata alla ricerca e al recruiting di personale con disabilità e categorie protette, oggi entrata a far parte della galassia di Openjobmetis, unica Agenzia per il lavoro italiana quotata in Borsa.

«Abbiamo una doppia anima: da una parte agiamo come società di ricerca e selezione su mandato delle aziende, dall’altra mettiamo a disposizione delle imprese e dei lavoratori con invalidità una piattaforma specifica per l’incontro di domanda e offerta», spiega Haiko Pittoni, Practice leader di Jobmetoo. «Nella nostra banca dati si sono iscritte 137mila persone con disabilità e oltre 2mila società interessate ad assumere personale continua Pittoni –. Lo scorso anno c’è stata una forte contrazione, ma già da settembre 2020 sono riprese ricerche e assunzioni: sono state 90 quelle mirate e qualche centinaio quelle concluse direttamente dalle imprese sulla piattaforma».

Le tipologie di aziende che si rivolgono alla piattaforma sono diverse, così come anche le richieste, anche se prevalgono quelle per persone con invalidità fisica o sensoriale. «Noi, però, supportiamo le imprese in tutto il processo, contribuendo anche a creare i presupposti culturali per un’inclusione il più ampia possibile, senza escludere appunto disabilità più gravi – aggiunge Elisabetta Cammarano, senior consultant di Jobmetoo –. Partiamo dall’idea, infatti, che non ci sia una condizione della persona di per sé escludente, in particolare per le disabilità intellettive, ma più o meno compatibile, più o meno adatta a una determinata mansione».



«Partiamo dall’idea che non ci sia una condizione
della personadi per sé escludente, in particolare
per le disabilità intellettive, ma più o meno compatibile,
più o meno adatta a una determinata mansione».
(Elisabetta Cammarano, senior consultant di Jobmetoo)



Prima ancora di far incontrare domanda e offerta, infatti, è fondamentale creare non solo le condizioni pratiche migliori per l’ingresso nelle imprese di persone con disabilità, ma una vera cultura dell’inclusione e la valorizzazione della diversity. Ed è
su questo in particolare che è impegnata ormai da 20 anni la Fondazione Adecco per le pari opportunità. «Alla fine degli anni ’90 le imprese preferivano pagare le sanzioni piuttosto che far lavorare le persone con disabilità – racconta Francesco Paolo Reale, segretario generale della Fondazione Adecco –. Oggi la sensibilità è molto cresciuta, in particolare nelle multinazionali e fra i grandi gruppi, ma anche nelle imprese di medie dimensioni. Il nostro approccio è quello di costruire progetti di inserimento mirato, prima rafforzando competenze e abilità di chi sconta uno svantaggio e, dall’altro lato, aiutando i lavoratori delle imprese a superare le paure e a rapportarsi correttamente con le diverse disabilità. Infine accompagnare le persone lungo tutto il percorso di inserimento».




«Alla fine degli anni ’90 le imprese preferivano pagare le sanzioni
piuttosto che far lavorare le persone con disabilità.
Oggi la sensibilità è molto cresciuta».
(Francesco Paolo Reale, segretario generale Fondazione Adecco)



È stato questo, ad esempio, il percorso seguito da Ludovica, 30 anni, una delle cinque persone con sindrome di Down che hanno fatto un tirocinio, poi trasformatosi in contratto, negli store di Primark. «Qualche anno fa avevo difficoltà, non mi sentivo pronta per lavorare. Ora comincio a credere in me stessa perché mi sento finalmente valorizzata», ha scritto lei di recente. Come è stato anche per Luca, 32 anni, affetto da una forma di autismo, «una diversa percezione della realtà», la definisce meglio Francesco Paolo Reale, che nel comparto della ciber security del network della consulenza aziendale EY, ha trovato finalmente l’ambiente giusto per esprimere le sue potenzialità e, dopo le difficoltà iniziali dovute anche allo smart working, rapportarsi con i colleghi. Il collocamento mirato, infatti, non è mai solo 'trovare un lavoro' alle persone con disabilità, ma qualcosa di molto più complesso e importante: favorire il loro benessere complessivo, la conquista dell’autonomia possibile, l’inclusione e la valorizzazione sociale a pieno titolo. E assieme, per le imprese, l’opportunità di essere soggetto e strumento del bene comune.


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