lunedì 3 maggio 2021
È il più essenziale dei beni comuni. Ma darle un valore è complicato, soprattutto se ci si focalizza solo sugli aspetti economici. Questo non aiuta a favorire gli investimenti necessari a proteggerla
Scatto di Steve Johnson

Scatto di Steve Johnson - Pexels

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Ci siamo entusiasmati quando abbiamo trovato le prove che c'è acqua sulla Luna e su Marte, ma dell'acqua che abbiamo qui sul nostro pianeta non ci preoccupiamo granché. Si chiude con questo epilogo paradossale il Rapporto mondiale sullo sviluppo delle risorse idriche preparato dall'Unesco per la Giornata mondiale dell'acqua 2021. Sono passati quasi vent'anni da quando le Nazioni Unite hanno scelto il 22 marzo come giorno in cui ricordarci dell'importanza dell'acqua per la vita sulla Terra. Al di là della retorica, sempre abbondante in queste ricorrenze, non si può dire che ci siano stati progressi significativi sull'obiettivo centrale dei water day: irrobustire la consapevolezza globale di quanto sia necessario darsi da fare per evitare di vivere crisi idriche sempre più frequenti.

Se vogliamo proteggere l'acqua dobbiamo investire. Servono soprattutto investimenti pubblici, perché non possiamo aspettarci che siano le forze del mercato, da sole, ad adoperarsi per proteggere qualcosa che è un patrimonio di tutti. Non è facile però creare consenso sull'idea di grandi piani di investimento sulle risorse idriche, perché l'acqua soffre il problema tipico degli altri Beni Comuni: è difficilissimo assegnarle un valore.

Il prezzo delle risorse idriche

Tutti sanno che l'acqua è un elemento essenziale per la vita terrestre e che il corpo umano è fatto principalmente d'acqua. Non c'è bisogno di ripetere quanto questa risorsa sia preziosa. Ma gli investimenti si muovono lungo parametri economici in cui è difficile includere qualcosa dal valore poco quantificabile. In certi casi il valore economico dell'acqua è chiarissimo. Chiunque saprebbe indicare in linea di massima il prezzo di una bottiglia da un litro e mezzo di acqua minerale, settore in cui tra l'altro l'Italia eccelle, con ricavi annui nell'ordine di tre miliardi di euro e più di mezzo miliardo di esportazioni. Non tutti riuscirebbero invece a dire con un certo livello di precisione quanto spendono ogni anno per la fornitura di acqua, tariffa che spesso si perde nei bilanci condominiali: la famiglia media, calcola l'Istat, paga per i consumi delle risorse che le arrivano tramite la rete idrica 14,6 euro al mese, quindi poco più di 175 euro all'anno.

Campi irrigati

Campi irrigati - Süleyman Şahan via Pexels

Altrove il prezzo dell'acqua ha raggiunto livelli di estrema sofisticatezza. Dallo scorso dicembre sul mercato di Chicago è possibile
comprare e vendere derivati sull'acqua della California: attraverso i future NQH20 i trader scambiano contratti basati sull'indice Nasdaq Veles California Water, che traccia il prezzo dell'acqua che arriva da uno dei quattro principali bacini sotterranei dello Stato. Il prezzo del contratto è pari al costo dell'acqua che servirebbe a coprire un acro di terreno per la profondità di un piede: sono 325.851 galloni, cioè 1,2 milioni di litri. Le quotazioni per i prossimi mesi si muovono tra i 550 e i 622 dollari. Come già accaduto per le materie prime alimentari, anche per l'acqua il processo di finanziarizzazione rischia di provocare un aumento dei prezzi.

I derivati dovrebbero servire agli agricoltori americani per proteggersi da repentini rialzi dei contratti per procurarsi l'acqua necessaria a produrre. L'intervento sul mercato di trader poco interessati alla materia prima e molto ai possibili guadagni
speculativi può però allontanare le quotazioni dell'acqua californiana da una sana dinamica di domanda e offerta.

L'impatto sull'economia italiana

In Italia, The European House Ambrosetti ha analizzato il valore dell'acqua all'interno del settore produttivo. Con un approccio di analisi che si potrebbe definire industriale i ricercatori sono arrivati a concludere che nel 2019 l'acqua come risorsa economica abbia abilitato la generazione di 310,4 miliardi di valore aggiunto, cioè circa il 17,5% del Pil italiano. Nel conto ci sono i 5,3 miliardi del ciclo idrico integrato (cioè l'industria dell'acqua, che include ad esempio le attività di potabilizzazione, depurazione e distribuzione) e i 3 miliardi dei fornitori di input, cioè delle aziende che producono macchinari, impianti e tecnologia per il settore dell'acqua. Tutto il resto, e sono più di 301 miliardi di euro, è il valore dell'acqua come input per la produzione dell'agricoltura, dell'industria e delle imprese dell'energia, che con le centrali idroelettriche coprono più del 40% dei consumi nazionali.

Trecento miliardi sono tanti, non tantissimi. Se non avessimo l'acqua saremmo tutti morti. Basta questa ovvia considerazione a rendere evidente come il valore dell'acqua non possa ridursi soltanto ai suoi aspetti più puramente economici. L'acqua è un bene sul quale serve una valutazione basata su un concetto di valore più ampio, capace di incorporare valori relazionali, culturali, intangibili. Anche valori negativi, come quelli dell'acqua di un'onda anomala che travolge un villaggio o quelli di un corso d'acqua che interrompe la comunicazione tra due territori. Nel suo rapporto l'Unesco cita almeno sette metodologie più comuni per dare un valore all'acqua. Per esempio il valore residuo esprime la differenza tra un valore di un bene prodotto e il costo dei suoi fattori produttivi, acqua esclusa. Oppure il costo di sostituzione, che si basa sull'importo che servirebbe a compensare l'assenza di acqua in una determinata situazione.



L'acqua è un bene sul quale serve una valutazione basata su un concetto
di valore più ampio, capace di incorporare valori relazionali,
culturali, intangibili. Anche valori negativi, come quelli dell'acqua di
un'onda anomala che travolge un villaggio o quelli di un corso d'acqua
che interrompe la comunicazione tra due territori.






L'unicità dell'acqua come bene comune

«L'acqua è unica rispetto alle altre risorse» spiega Rick Connor, chief editor del World Water Assessment Program (Wwap) dell'Unesco, struttura di ricerca che ha sede all'interno dell'Università per Stranieri di Perugia. «La maggior parte delle risorse naturali vengono valutate, almeno monetariamente, il più delle volte in base al loro valore "di mercato", che a sua volta è una funzione dell'offerta e della domanda. Questo vale per risorse come il legno e le risorse minerali. Sebbene il valore possa variare
leggermente da un luogo all'altro, generalmente hanno un valore globale standard, o prezzo. Anche le emissioni di carbonio hanno un valore "globale" simile, in quanto l'impatto di una tonnellata di CO2 ha lo stesso impatto sul cambiamento climatico indipendentemente da dove viene prodotto/rilasciato - spiega Connor -. L'acqua è diversa. Ha valori diversi in base alla provenienza e alla disponibilità (ad esempio una regione secca o umida), per cosa viene utilizzata (per produrre carote o vaccini) e quanta concorrenza c'è per essa. A questa difficoltà si aggiunge il fatto che l'acqua ha benefici sociali unici, come salute e igiene, oltre a valori culturali e anche spirituali. Sebbene questi possano essere difficili da quantificare, sono ancora tra i valori più importanti dell'acqua».



«Puoi sempre trovare un sostituto per legno o minerali e forme
alternative di energia pulita che non producono emissioni di CO2. Ma non
esiste un sostituto per ciascuno degli usi e valori dell'acqua»


Concretamente, conclude l'esperto, «puoi sempre trovare un sostituto per legno o minerali e forme alternative di energia pulita che non producono emissioni di CO2. Ma non esiste un sostituto per ciascuno degli usi e valori dell'acqua». Il valore enorme ma indefinibile dell'acqua è un problema. «Se l'unicità" dell'acqua non viene riconosciuta, può finire per essere considerata come qualsiasi altra risorsa naturale, cosa che non è» nota Connor. Soltanto la percezione concreta del valore delle risorse idriche può portare aziende e famiglie a gestirne i consumi con più attenzione e, soprattutto, ad accettare un massiccio aumento degli investimenti necessari.

La situazione italiana

L'Italia parte da una situazione problematica. Nel Rapporto dell'Unesco c'è una mappa dove tutta la parte del territorio italiano al di sotto degli Appennini emiliani è indicata come un'area dallo stress idrico estremamente elevato, cioè dove il rapporto tra i prelievi totali di acqua e le risorse idriche rinnovabili disponibili è superiore all'80%. Da più di vent'anni l'Italia ha il primato europeo per acqua dolce prelevata in totale (9,2 miliardi di metri cubi all'anno) e il secondo posto, poco sotto la Grecia e molto sopra l'Irlanda, per prelievo annuo di acqua per abitante (153 metri cubi, cioè 153mila litri). Il nostro Paese preleva moltissima acqua ma ne disperde un'enormità: le perdite del sistema di distribuzione italiano crescono da anni e hanno raggiunto il 42%. Significa che di 100 litri che entrano nella rete idrica 42 si perdono lungo la strada.​

Il World Resource Institute (Wri), centro di ricerca internazionale che studia le risorse naturali, include l'Italia tra i Paesi che rischiano di trovarsi con una situazione di stress idrico molto critica. L'istituto di ricerca Ipsos ha fatto un sondaggio tra gli italiani per capire che cosa ne pensassero. L'11% ha detto che previsioni del genere servono solo a spaventare la gente, il 52% ha risposto che la stima era troppo pessimistica, solo il 22% si fidava e pensava che ci fosse bisogno di affrontare il problema.

Lo stress idrico in Europa in un grafico del World Resource Institute

Lo stress idrico in Europa in un grafico del World Resource Institute - Wri

Se questo è il sentimento dell'opinione pubblica non sorprende che il nostro Paese sia quello che investe meno, in Europa, sulla gestione dell'acqua. The European House Ambrosetti calcola un investimento medio annuo di 40 euro per abitante (la media europea è di 100 euro). Lo scorso anno Utilitalia, che è la federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche, aveva stimato che per garantire un approvvigionamento sicuro di acqua nei prossimi anni servivano 7,2 miliardi di euro di investimenti nel giro di quattro anni. Non moltissimo. Lo stesso Wri ha confermato che all’Italia basterebbe un investimento pari allo 0,6% del Pil, circa 8-9 miliardi di euro, per ottenere entro il 2030 una «gestione sostenibile dell’acqua» secondo i parametri del sesto degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Onu, che chiede a ogni Paese di «assicurare la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua per tutti».

Eppure nemmeno davanti alla grande quantità di risorse messe a disposizione dal Next Generation Eu l’Italia si è convinta a investire quanto occorre sull’acqua. Le schede tecniche del Piano nazionale di Ripresa e Resilienza preparato dal governo indicano un totale di 4,4 miliardi di euro di fondi per la gestione sostenibile e sul ciclo integrato dell’acqua. È sempre un problema di valore. «Le infrastrutture per l’approvvigionamento idrico e i servizi igienico-sanitari sono generalmente costose e generalmente non forniscono ritorni diretti sugli investimenti. Ma, il ritorno indiretto è enorme, in quanto migliora le condizioni di salute e i mezzi di sussistenza per una maggiore opportunità di lavoro e di istruzione, che sono a loro volta essenziali per un’economia in crescita – ricorda Connor –. Una volta che i politici lo riconosceranno, vedranno che investire nell’acqua non è un fardello sociale o economico, ma al contrario è un’opportunità (essenziale) per la crescita e lo sviluppo sostenibile».

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