giovedì 26 maggio 2016
Terzo settore, prova di maturità
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Con il mese di maggio ogni anno in Italia fa la sua comparsa, per restare attivo più o meno tutta l’estate, un tipo di volontario un po’ particolare, utilissimo, ma che operando nell’ombra e in un ambito non particolarmente nobile o elevato raramente viene considerato per il valore che produce. È il cuoco delle salamelle. Il signore o la signora che, passando le ore più calde della giornata alla piastra o alla griglia, permette la riuscita di ogni festa di fine anno della scuola, dell’asilo, della società sportiva, della parrocchia, della cooperativa sociale.on il mese di maggio ogni anno in Italia fa la sua comparsa, per restare attivo più o meno tutta l’estate, un tipo di volontario un po’ particolare, utilissimo, ma che operando nell’ombra e in un ambito non particolarmente nobile o elevato raramente viene considerato per il valore che produce. Il cuoco delle salamelle (delle braciole, dei panzerotti, della pasta, della polenta...) rappresenta una delle più pure forme di volontariato, tra le meno istituzionalizzate e più libere, l’impegno speso per regalare la gioia di un pasto condiviso. È la minuscola "mattonella" di servizio che, insieme a migliaia di altre in ambiti diversi, permette a quel vastissimo mondo chiamato società civile, non profit o Terzo settore, di andare avanti, svolgere il suo servizio per gli altri e celebrare ogni volta la sua festa.Ne parliamo perché da oggi, con il via libera definitivo alla Camera della riforma del Terzo settore, per questo universo composto da 300mila organizzazioni, 5 milioni di volontari e 1 milione di occupati, possono cambiare molte cose. Augurarsi che la trasformazione sia solo in meglio non è cosa di poco conto. Sotto il cappello del Terzo settore, una definizione un po’ fredda per dire che si tratta di realtà tra lo Stato e il mercato, c’è tanta parte della nostra vita e spesso dell’impegno diretto di molti di noi, oltre che di vari servizi di cui usufruiamo: l’associazione vicina agli anziani, la squadra di calcio o di basket dei figli, la cooperativa che gestisce asili nido o centri estivi, la fondazione che sostiene centri e strutture per disabili, l’associazione culturale, l’impresa sociale che offre servizi socio sanitari a costi accessibili. Un’economia e una società rigorosamente senza scopo di lucro.C’è un intero mondo che entra dunque in una fase nuova. Il presidente del Consiglio Matteo Renzi aveva annunciato la riforma due anni fa esponendosi, come è nel suo stile, nella promessa che il Terzo settore sarebbe un giorno diventato il Primo. Forse è un po’ difficile, ma nella riforma gli elementi ci sono tutti, se non per scalare la classifica dei settori, almeno per far diventare grande il non profit, rafforzarlo a livello di risorse e capitali, offrirgli la possibilità di valorizzare la componente imprenditoriale e di innovazione, fornirgli insomma molti strumenti per compiere quel salto, anche in termini di emancipazione, che si auspicava invano da troppi anni.Il rischio che molti paventano è quello di vedere il Terzo settore crescere fino al punto di prendere il posto dello Stato nella gestione di molti servizi di welfare. D’altro canto c’è chi teme, nel possibile vuoto lasciato dalla ritirata degli enti pubblici, l’avanzata dei privati con solo scopo di profitto. È per questo che, anche guardando ai decreti attuativi, sarà importante rispettare l’equilibrio raggiunto con la delega. Questa riforma pone le basi perché vi siano più trasparenza, maggiore ordine grazie a un unico quadro giuridico, più certezza delle risorse, migliore capacità di attirare capitali e risorse finanziarie da investitori esterni, una valorizzazione e anche un rafforzamento in termini di concretezza del volontariato.Perseguire finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, in forma privata e senza scopo di lucro, nel nome dell’interesse generale – così come recita la legge – è la vera sfida per il non profit e la nuova impresa sociale. Ora di fronte a un bivio etico: cedere al fascino del capitale e lasciarsi contagiare dalle pratiche più estreme del mercato o riuscire a contaminare l’economia in senso positivo e civile portando il meglio della propria identità? È difficile che possa essere una legge a deciderlo. Grandi si diventa, maturi ci si dimostra. Per questo al non profit servirà mantenere viva la propria anima, il volto e il servizio dei milioni di volontari che ogni giorno fanno senza chiedere. Il cuoco delle salamelle come la signora dell’Alzheimer cafè. Che in fondo siamo tutti noi.
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