giovedì 26 settembre 2019
La catena dei supermercati bio è nata con la sostenibilità al centro e continua a essere all'avanguardia. L'ultimo passo avanti è l'eliminazione delle bottiglie di plastica
L'interno di un punto vendita di NaturaSì

L'interno di un punto vendita di NaturaSì

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Per EcorNaturaSì aderire ai Saturdays for future è stata una scelta naturale. «Questo tipo di cose le abbiamo sempre avute nel cuore» ci spiega Fausto Iori, amministratore delegato del gruppo nato nel 2009 dalla fusione di Ecor, il maggiore distributore all’ingrosso di prodotti biologici e biodinamici, e NaturaSì, il marchio dei supermercati bio. Fin dal primo piccolo negozio di agricoltura biologica e biodinamica aperto nel 1985 a Conegliano Veneto, le persone che hanno creato quest’azienda hanno avuto l’obiettivo di offrire prodotti sani alle persone che già allora «sentivano l’avvelenarsi della Terra e dei prodotti che arrivavano sulla loro tavola» come ha spiegato il presidente Fabio Brescacin. Quella bottega in Veneto è all’origine di una Spa che oggi raggruppa 260 negozi, in parte in franchising e in parte in gestione diretta, per 391 milioni di euro di fatturato e 1.250 dipendenti.

«Oggi nel consumatore medio c’è forte consapevolezza di questi temi. Noi da trent’anni ci relazioniamo con clienti molto connessi alla sostenibilità, che poi significa essere connessi con la vita» racconta Iori. NaturaSì fa parte della rete di NeXt-Nuova Economia e domani, nel primo dei Saturdays, ogni punto vendita si attiverà per stimolare ancora di più il valore di un consumo responsabile. «Lasciamo a ogni negozio la scelta di come organizzarsi, agendo in base al territorio in cui opera. C’è molta libertà. Alcuni faranno aperitivi di sensibilizzazione, altri offriranno merende o proporranno percorsi a tappe. Ogni negozio sarà “animato”» continua Iori.

Fausto Iori, amministratore delegato di EcorNaturaSì

Fausto Iori, amministratore delegato di EcorNaturaSì - FotoEnnevi

L’azienda, controllata con una quota di maggioranza dalla Fondazione Antoposofica Rudolf Steiner, nella sua “mission” parla della necessità di «contribuire a migliorare la salute dell’uomo, della terra e dell’ambiente nel quale viviamo». Nelle pratiche di sostenibilità è all’avanguardia. A partire dalla filiera. «Abbiamo il disciplinare Terre di Ecor attivo sul nostro ecosistema di 300 aziende agricole per 18mila ettari di terreni coltivati: diamo noi i semi, definiamo i protocolli, facciamo i controlli, stimoliamo a utilizzare tecniche sempre più sostenibili secondo i principi della biodinamica» spiega Iori.

Sugli scaffali si sta lavorando sul tema della plastica. «Per noi l’ecoplastica è un tampone, non la soluzione. Puntiamo invece sul riutilizzo e sui prodotti sfusi. Stiamo spingendo sui contenitori del consumatore, lavorando con il ministero e Legambiente per farlo in maniera efficace – dice Iori –. Già abbiamo più di cinquanta prodotti che vendiamo sfusi usando gli erogatori. Ad esempio i ceci, le fave o le nocciole. Puntiamo ad allargare l’uso degli erogatori anche ai prodotti più venduti, come la pasta o il riso. Ogni consumatore dovrà poterli comprare mettendoli nei suoi contenitori». Sull’acqua è già stato fatto un passo avanti importante quest’anno con i primi 50 negozi NaturaSì che hanno eliminato le bottiglie in plastica mettendo nei punti vendita degli erogatori di acqua della rete idrica. Entro fine anno i negozi senza acqua in plastica saliranno a 100.

Un addetto di NaturaSì serve a un cliente prodotti sfusi

Un addetto di NaturaSì serve a un cliente prodotti sfusi - Claudia Difra Photography

Queste scelte, però, costano. Iori riconosce che la spesa sostenibile è più cara. «Dobbiamo guardare la questione in un altro modo – avverte l’Ad di NaturaSì –. Il cibo non è una merce, ma è alimentazione per l’umanità. Dobbiamo mantenere la capacità della terra di produrre cibo e questo significa adottare tecniche eco-sostenibili, che sono più costose. Gli studi della Fao dicono che la sostenibilità ha un costo circa il doppio rispetto alla produzione tradizionale. Ma possiamo abbinare la crescita dei costi alla capacità di evitare gli sprechi, comprando solo ciò che è necessario e corretto dal punto di vista nutrizionale. Se il cliente sviluppa una cultura alimentare e impara a scegliere prodotti dalla qualità nutrizionale più elevata, la scelta sostenibile non è più costosa».

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