venerdì 3 gennaio 2014
Quei 143 posti di lavoro in più per ogni cento imprenditori aiutati. Le storie: dal kit per lasagne all'auto di famiglia. (Lorenzo Galliani)
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Il microcredito è, innanzitutto, fiducia. Riposta in chi, dalle banche, è bollato come «soggetto non bancabile», non idoneo a ricevere un finanziamento. Al suo posto, c’è qualcuno disposto a mettere a disposizione un fondo di garanzia: fondazioni, organizzazioni del terzo settore, piccole banche cooperative. E gli enti religiosi, che, secondo l’ultimo monitoraggio dell’Ente Nazionale del microcredito, «hanno promosso circa un quarto delle iniziative, al netto dei programmi a valenza nazionale e di quelli istituiti dalle Regioni». Uno dei progetti più importanti resta il Prestito della speranza nato grazie a un accordo tra la Cei e l’Associazione bancaria italiana, e realizzato grazie alla rete delle Caritas diocesane. In Italia, nel 2012 (a soli due anni dalla prima legge in materia), sono stati concessi 7.167 microprestiti, per un ammontare di 63 milioni di euro. I finanziamenti a tasso agevolato vanno in due direzioni: gli interventi socio-assistenziali alle famiglie in difficoltà, e il sostegno alle piccole imprese, che a loro volta possono permettersi di assumere uno o due dipendenti. L’effetto moltiplicatore dei benefici è ben visibile: «Si può dire - continua il rapporto - che 100 utilizzatori di microcredito finalizzato all’attività lavorativa producono occupazione, oltre che per loro stessi, anche per altre 143 persone, per un totale di 243 occupati». Non tutte le esperienze vanno a buon fine: l’insolvenza si attesta al 14%. Un dato che fotografa il dramma di una crisi nera, ma che al tempo stesso rivela l’altra percentuale, ben più grande: quella di chi, grazie a un gesto di fiducia, sta finalmente rialzando la testa.

 


IL RISTORATORE Kit per lasagne in un bauletto. Un piccolo prestito sforna l’ideaL’idea era di quelle buone, almeno come le sue lasagne: vendere in scatola un kit per la preparazione del tipico piatto bolognese. Il contenuto del bauletto? Sfoglia all’uovo, ragù, besciamella, due vaschette e le istruzioni per l’uso. Il marchio "Re Lasagna" è nato così. «Se avessi pensato a un prodotto surgelato, avrei avuto tanta concorrenza - spiega Gilberto Argini, ristoratore di Pontecchio Marconi, comune alle porte di Bologna -. All’inizio, specialmente tra i produttori di pasta, c’era chi mi diceva: non funzionerà, la gente deve mangiare in due minuti. Io però pensavo allo stare insieme in famiglia: si chiacchiera, si scherza e intanto le lasagne sono pronte». L’intuizione era giusta, e la collaborazione con un’azienda terremotata di Cavezzo (Modena) già avviata; ma per pensare in grande, bisognava sostenere i costi di un brevetto internazionale. Gilberto si è guardato intorno, e ha chiesto un piccolo finanziamento a Emil Banca. È stata quella l’opportunità per poter espandere il business delle lasagne nel bauletto, che ha superato di gran lunga l’attività del ristorante: "Le vendite dei kit avvengono quasi solo su internet - spiega Argini -. Me li chiedono un po’ da tutta Europa: Svizzera, Germania, Austria...". Grazie al primo lancio del prodotto, è riuscito a passare al livello successivo: distribuire anche le lasagne vegane e, a breve, quelle per celiaci. Ci sono altre fette di mercato da conquistare: senza il microcredito, però, si rischiava di rimanere a bocca asciutta.

 

LA FAMIGLIAÈ sufficiente far ripartire l’auto per arrivare dritti a fine mese

Lavoratrice precaria lei, educatore in una comunità penale minorile lui, e tre bambini da tirare su: Francesco, di 7 anni, Emanuele, 4 e Maria Grazia, l’ultima arrivata, che ha appena compiuto i 18 mesi. «Quando c’è l’amore c’è tutto», spiega Angela. Ma senza auto, fuori uso perché il cofano aveva ceduto inspiegabilmente nel bel mezzo di un viaggio, non si poteva fare quasi nulla: andare al lavoro, raggiungere il supermercato, portare i figli a scuola. La famiglia salernitana ottenne subito un prestito da un parente, «che però - continua Angela - poco dopo richiese i soldi, perché aveva avuto alcuni problemi». Si era di nuovo al punto di partenza. La 31enne campana, però, non si diede per vinta: collaborando con la Caritas di Salerno, era già a conoscenza del meccanismo di microcredito: «La situazione si è sbloccata in un attimo - racconta -. Nel giro di una ventina di giorni abbiamo ottenuto la concessione del prestito, a un tasso di interesse decisamente più basso di quello applicato dalle banche». E anche il tempo previsto per la restituzione - 5 anni - permette di tirare un poco il fiato. Nel tessuto sociale di Salerno, si tratta solo di una goccia in un oceano di problemi: «Basta andare in un qualsiasi supermercato per vedere le persone che non comprano nulla se non c’è un maxi sconto - conclude Angela -. Per le nostre tasche, l’uscita in pizzeria è impensabile, insostenibile. Ma a quella possiamo tranquillamente rinunciare». Senza l’auto, invece, "l’impresa-famiglia" rischiava davvero di scricchiolare.

L'IMPRESARiaprire il cantiere e assumere può bastare a salvare l’azienda

Puoi anche avere mezzo secolo di storia alle spalle, ma se sei una piccola impresa a conduzione familiare e resti inattiva per un anno, esci dal mercato. Quella di Stefania si trovava in questa situazione, appena poco tempo fa: il marito, che aveva ereditato l’azienda edile dal padre, era rimasto fermo per un infortunio, e la crisi economica stava dando il colpo di grazia all’attività. La famiglia, di un comune del cagliaritano, stava ormai cedendo alla rassegnazione. «Poi - riprende Stefania - ci fu la possibilità di eseguire dei lavori di ristrutturazione di un edificio. Ma, come per ogni cosa, avevamo bisogno di un piccolo capitale iniziale». Per comprare i materiali, certo, ma anche per chiedere aiuto a un paio di operai: anche loro, indirettamente, hanno beneficiato del sostegno - 25mila euro - che la Caritas di Cagliari ha messo a disposizione di Stefania in poco più di un mese: «Andare alle banche? Non ci passava neppure per la testa: quali garanzie avremmo potuto dare?». Non le avrebbero avute neppure le altre cento persone che hanno avuto accesso al Prestito della speranza, per un totale di 686mila euro. In un caso su cinque, è stato concesso proprio per ridare ossigeno a piccole imprese in difficoltà. Quella di Stefania non è ancora uscita dal tunnel: «Vorremmo poter lavorare di più, ma tutto il settore è in ginocchio. Le difficoltà non sono finite». Ma riuscire a tenere i piedi per terra è già una conquista, in un momento in cui la crisi manda le impresa gambe all’aria.

L'ASSOCIAZIONEPiccolo capitale e grande squadra per raccogliere fondi on line

Arrivano dalle province di Ferrara, Trieste, Parma e Bergamo. Si sono conosciute a Bologna, al corso di laurea sulla valorizzazione dei beni culturali. E, visto che l’unione fa la forza, hanno deciso di fare gioco di squadra e dare vita a un’esperienza di crowdfunding. Attraverso la piattaforma di "Ginger", questo il nome dell’associazione, si possono sviluppare raccolte fondi a favore di progetti che per diventare realtà hanno bisogno di risorse: dall’organizzazione di una fiera d’arte contemporanea all’allestimento di un cinema. Il primo ostacolo, per Nicole, Caterina, Agnese, Virginia e Martina, tutte under 30 impegnate nel crowdfunding, era però la mancanza di un piccolo capitale iniziale di partenza. Lo hanno trovato, attraverso un mini-finanziamento di una banca del credito cooperativo. I risultati sono arrivati subito: il Comune di Bologna ha affidato a "Ginger" la campagna di raccolta fondi per il restauro del portico di San Luca, uno dei gioielli della città, che collega il centro alla Basilica sul Colle della Guardia. E’ nato un portale (unpassopersanluca.it) per spiegare l’iniziativa, offrire piccoli ricordi a chi contribuisce e, ovviamente, dare l’aggiornamento in tempo reale dell’attività di crowdfunding, a cui hanno finora partecipato quasi 300 persone, per un totale di 123mila euro raccolti. Senza il microcredito, "Ginger" si sarebbe ingolfata subito: «Oggi siamo ancora un’associazione - raccontano -, ma il nostro futuro lo vediamo come impresa».

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