sabato 16 dicembre 2017
Il titolo di studio non riflette le vere competenze. Bene il Jobs act, ma va migliorata l'alternanza
L'Ocse: «Lavoratori italiani adattati o sovra-qualificati»
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Ci sono capacità umane che l’intelligenza artificiale fatica a replicare. Una di queste è il ragionamento deduttivo, inteso come l’abilità di applicare regole generali a problemi specifici. Un’altra è la fluidità delle idee, cioè la capacità di elaborare idee differenti rispetto a uno stesso tema. Secondo le indagini dell’Ocse capacità come queste oggi sono poco diffuse tra i cittadini delle economie sviluppate. Eppure sono già cruciali per permettere alle persone di trovare il loro posto in un mondo del lavoro in cui i robot si prenderanno una quantità sempre maggiore delle mansioni fisiche e di routine.

LE CAPACITÀ CHE SERVONO AL LAVORO DEL FUTURO

Se un governo vuole fare in modo che la sua popolazione resti 'competitiva' sui mercati internazionali deve aiutarla a sviluppare capacità come queste. Iniziando dai bambini, dal momento che queste abilità di tipo cognitivo si sviluppano in tenera età. Per l’Italia questo significa, per esempio, che è importante «rafforzare i percorsi educativi che usano metodi di insegnamento innovativi, in grado di stimolare lo sviluppo di queste abilità cognitive fin dalle scuole primarie». Parola dell’Ocse, che ha pubblicato l’ultima edizione focalizzata sull’Italia del rapporto Getting Skills Right, dove analizza le caratteristiche dei mercati del lavoro e dei sistemi educativi per valutare quanto la scuola riesca ad aiutare le persone a trovare il loro posto nell’economia di un paese. L’Ocse conferma i difetti cronici del-l’Italia, dove convivono sorprendentemente da un lato una significativa quota di lavoratori che non ha le competenze adeguate a fare il mestiere che svolge (sono il 6%) o le qualifiche necessarie (il 18%) per svolgerlo e dall’altro percentuali anche più rilevanti di lavoratori che hanno più abilità del necessario (l’11,7%) o sono fin troppo qualificati (il 21%). Sono squilibri da contrastare. Il governo Renzi ci ha provato con una strategia incrociata di riforme che hanno agito sul mercato del lavoro (il Jobs Act), il mondo della scuola (con la Buona Scuola) e il sistema produttivo (con il piano Industria 4.0). L’obiettivo generale era adeguare i 'fattori produttivi' italiani alla trasformazione dell’economia in corso in tutto il mondo sulla spinta dell’automazione. Secondo l’Ocse ci si è riusciti a metà. «L’Italia si trova in un equilibrio, dove offerta e domanda di competenze tendono ad appiattirsi verso il basso in un circolo vizioso che ha evidenti ripercussioni negative sulla produttività, la crescita e l’utilizzo delle nuove tecnologie», ha affermato Stefano Scarpetta, direttore per l’occupazione, il lavoro e le politiche sociali dell’Organizzazione.

I PEZZI CHE MANCANO ALL’ALTERNANZA SCUOLA-LAVORO

L’introduzione dei tirocini obbligatori in azienda per i ragazzi delle superiori, licei compresi, è stato il tentativo più significativo di avvicinare il mondo della scuola a quello delle imprese. La riforma è del 2015, è ovviamente presto per fare bilanci. L’Ocse nota però che dalle sue indagini sia la scuola che le aziende stanno facendo fatica a farla funzionare. I licei faticano a integrare i tirocini obbligatori all’interno delle attività didattiche, mentre le imprese non sanno di preciso che contenuti dovrebbero offrire agli studenti che accolgono. Occorre poi, nota l’Ocse, che i tutor delle aziende facciano delle vere valutazioni delle professionalità sviluppate dagli studenti. Se quelle valutazioni sono invece solo 'compilate' con leggerezza è impossibile aspettarsi che il mondo delle aziende dia loro qualche importanza quando lo studente si presenta in cerca di un posto di lavoro.

INDUSTRIA 4.0 SERVE A POCO SENZA LE COMPETENZE

Industria 4.0 è il piano con cui il governo ha spinto le imprese ad aggiornarsi, a partire dai macchinari, per rimanere competitive in un contesto in cui robotica, automazione e Big Data hanno un ruolo centrale. Anche in questo caso, nota l’Ocse, il progresso è solo parziale. E la colpa è soprattutto dei manager, che fanno poco per fare in modo che, parallelamente all’evoluzione dei macchinari, anche le competenze dei dipendenti siano aggiornate. Per farlo occorrono quelle che gli esperti definiscono highperformance working practices, cioè 'buone pratiche manageriali' che incoraggiano lo sviluppo delle abilità sul lavoro. Ad esempio la task discretion, cioè l’abitudine di dare al lavoratore un certo grado di libertà nella scelta di come completare il compito che gli è stato affidato. O il mentoring che affianca lavoratori più esperti ad addetti più giovani per trasmettere le competenze. Ma sono 'buone pratiche' anche la rotazione degli addetti, il loro coinvolgimento nelle scelte, i premi incentivanti, la formazione continua e la flessibilità negli orari. Tutte consuetudini già affermate nelle altre economie sviluppate ma che sono ancora 'estremamente poco diffuse in Italia tra imprese di tutte le dimensioni' nota l’Ocse. In questo senso l’Italia deve ancora davvero affrontare la profonda trasformazione e riorganizzazione delle attività industriali e lavorative resa necessaria dalla rivoluzione digitale. E questa trasformazione non può che partire dai manager, che però ancora latitano (soprattutto nelle piccole e medie aziende a gestione famigliare).

LE POLITICHE ATTIVE, LE GRANDI ASSENTI

Le risorse per le politiche del lavoro attive, quelle che aiutano i disoccupati a sviluppare le competenze utili a tornare attraenti per le aziende, sono semplicemente 'troppo scarse' avverte l’Ocse. Non è solo colpa dei governi. È stata creata l’Agenzia nazionale per le politiche attive (Anpal), che ha proprio il compito di favorire questo approccio, ma la gestione delle politiche attive è rimasta a metà tra la nuova agenzia e i governi regionali, con potenziali problemi di coordinamento delle strategie.

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