sabato 2 dicembre 2023
L'azienda annuncia uno stop di una settimana ma i sindacati sono in allarme: l'Afo 1 è chiuso da agosto, la produzione è ai minimi storici. Il 6 dicembre nuova assemblea dei soci
Non solo Taranto: protestano i dipendenti dello stabilimento di Arcelor Mittal a Cornigliano (Genova)

Non solo Taranto: protestano i dipendenti dello stabilimento di Arcelor Mittal a Cornigliano (Genova) - Ansa

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La conferma è arrivata ieri pomeriggio. Acciaierie d'Italia fermerà l’altoforno 2 nell’ambito di un programma di manutenzione che riguarda diverse aree produttive (marittimi, parchi, linee di agglomerazione, cokeria, acciaieria e treno di laminazione). Le attività manutentive, spiega l'azienda, sono state programmate e ottimizzate in modo da poter essere effettuate in parallelo. La produzione di ghisa dell'altoforno 2 sarà sospesa per sette giorni da lunedì 4 dicembre e riprenderà l’11 dicembre.

L'annuncio che ha messo in allarme i sindacati che sono scettici sull’immediata ripartenza e citano, a titolo di esempio, quanto accaduto con l’altoforno 1. Doveva restare fermo un mese ad agosto per consentire di completare l’installazione di filtri ambientali ed invece è ancora fermo. Come ferma da allora è anche l’acciaieria 1, una delle due dello stabilimento. Con lo stop dell’altoforno 2, il siderurgico resta con un solo altoforno attivo, il 4. Un minimo storico che si traduce in una produzione di 5mila tonnellate di ghisa al giorno da trasformare in acciaio. I sindacati temono anche un’estensione della cassa integrazione in corso che potrebbe riguardare 250 unità, considerato anche il fermo della batteria 7 delle cockerie.

"La decisione dell'azienda di fermare a Taranto l'Altoforno 2, ci pone difronte alla triste e gravissima realtà della fine dell'ex Ilva, la più grande acciaieria d'Europa. A luglio era stato già fermato Afo 1 e con la fermata di Afo 2 resterà in marcia un solo altoforno con il rischio, fra l'altro, di problemi di sicurezza impiantistica per lo stabilimento. Con questa decisione l'ex Ilva di Taranto è ferma se si considera che la quasi totalità dell'area a freddo è già ormai da tempo quasi completamente inattiva" sottolineano Guglielmo Gambardella, responsabile nazionale Siderurgia della Uilm, e Davide Sperti, segretario Generale Uilm Taranto accusando il governo di assistitere impassibile allo scorrere del tempo, al graduale spegnimento di Taranto ed alla conseguente paralisi dell'intero gruppo, con la messa in discussione di 20mila posti di lavoro.

Loris Scarpa, coordinatore nazionale siderurgia per la Fiom-Cgil sottolinea che non si conoscono ancora le ragioni di questa scelta, ma il rischio è che si tratta di una strategia, “l'ennesima arma ricattatoria nei confronti di un governo incapace di determinare le scelte strategiche sia sul futuro della siderurgia che della transizione ecologica e sociale. L'eventuale scelta della fermata dell'altoforno 2, per un periodo di 8 giorni o di 2 settimane, avrebbe serie ripercussioni sul ciclo produttivo e sullo stato già precario degli impianti".

Inoltre, riferisce Scarpa, l'azienda, nella giornata di ieri, ha mandato a tutti i lavoratori una comunicazione di natura vessatoria e propagandistica legata al premio sulla riduzione degli infortuni di 100 euro a dipendente, confermando “che la sicurezza e la salute sono legate ai comportamenti dei lavoratori e non agli investimenti".

Intanto l’Usb ha annunciato per il 20 gennaio una grande manifestazione a Taranto per chiedere al governo di strappare la gestione dell'azienda al socio privato, evitare la chiusura e dare un nuovo futuro alle famiglie."La nostra organizzazione respinge senza appello tutte le scelte che porteranno a rimettere un'azienda strategica per il paese nelle mani di ArcelorMittal e della gestione autoritaria di Lucia Morselli" sottolinea l'Usb chiedendo la nazionalizzazione definita l'unica soluzione che può salvare un’azienda in cui il socio privato si è sempre sottratto alla responsabilità ed al rispetto. “Dopo aver trascinato questa azienda al collasso, oggi si rifiuta di intervenire con nuovi capitali, pretendendo che sia la collettività a pagare il costo del disastro" spiegano dal sindacato di base.

L'appello al governo Meloni. I segretari nazionali di Fim, Fiom e Uilm Roberto Benaglia, Michele De Palma e Rocco Palombella, pochi giorni fa hanno scritto una lettera sulla situazione dell'ex Ilva alla premier Giorgia Meloni e ai ministri competenti chiedendo un incontro urgente per parlare della situazione di stallo in cui è piombata la trattativa tra governo e ArcelorMittal che riguarda l'assetto societario, la crisi finanziaria e le prospettive di rilancio. L'assemblea dei soci di Acciaierie d'Italia, compagine pubblico-privata composta dalla multinazionale ArcelorMittal (che detiene il 62% delle quote) e Invitalia (in minoranza con il 38%) si è chiusa per ben due volte con un nulla di fatto ed è stata aggiornata al 6 dicembre. Il problema più impellente ora è la mancanza di liquidità. In un precedente l'amministratore delegato Lucia Morselli aveva indicato in 320-380 milioni di euro la cifra necessaria per far fronte alle esigenze più immediate, a partire della fornitura di gas.

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