Torte fatte in casa per la parrocchia, come essere in regola

Feste in oratorio o raccolte fondi per la comunità: le norme da rispettare per non correre rischi quando si porta cibo preparato in casa
June 4, 2018
Torte fatte in casa per la parrocchia, come essere in regola
Banchetto alla parrocchia di San Giovanni Crisostomo a Milano
Con l’arrivo dell’estate e l’inizio del grest si moltiplicano le richieste di aiuto nel preparare e fornire torte e dolci in genere fatti in casa come merende “sane” da offrire ai ragazzi o per vendere tali prodotti al fine di raccogliere fondi per finanziare le varie attività della parrocchia ed i progetti di beneficenza.
Spesso però sorge il dubbio sulla possibilità e legittimità o meno dello svolgimento di tale attività e ci si chiede se le torte delle mamme e delle nonne possano tranquillamente essere vendute fuori dalla chiesa o consumate in oratorio.
Innanzitutto è opportuno sgombrare il campo da equivoci che spesso portano a vietare tali attività “per non correre rischi”, come in molte scuole dove appunto vengono emesse circolari in cui si stabilisce che non è consentito portare dolci fatti in casa in occasione delle feste di compleanno ed è vietato vendere torte casalinghe all’interno della scuola.
In effetti è proprio vero il detto: “chi non fa non sbaglia”, ma a volte in tal modo si perdono delle vere opportunità.
Vediamo allora come si possono sciogliere i dubbi che sempre accompagnano tali iniziative e come ci si può districare tra le varie normative che regolano la materia della produzione e vendita di dolci.
La prima distinzione da fare è tra la produzione di dolci occasionale e non professionale e quella che invece ha tali requisiti. L’applicazione o meno delle restrizioni normative dipende proprio dalle modalità di svolgimento dell’attività: seppur preparati nell’abitazione privata, infatti, gli alimenti e le bevande possono essere oggetto sia di un’attività imprenditoriale sia di un’attività non organizzata. C’è infatti differenza tra una mamma che prepara una torta da portare per la vendita a un mercatino di Natale e una mamma che prepara torte, sempre fatte in casa, ma come microimpreditore domestico, facendo dunque di ciò una vera e propria attività lavorativa. Ebbene, solo in tale secondo caso si applica il Regolamento CE 852/2004 che impone una serie di obblighi e prescrizioni che devono essere rispettati e in mancanza dei quali la vendita di prodotti casalinghi è vietata.
È impensabile, infatti, che si possa attrezzare come un vero e proprio laboratorio artigianale la cucina di chi, occasionalmente, si rende disponibile a dare una mano. Tuttavia occorre altresì fare i conti con le autorità locali che, nel recepire il Regolamento CE 852/2004 per la parte che riguarda la produzione di alimenti nelle abitazioni private, potrebbero applicare restrittivamente tale normativa: non è raro, infatti, che vi siano regolamenti diversi a seconda del luogo ove si va ad attuare la vendita ed è consigliabile, dunque, verificare con la ASL locale le condizioni da rispettare.
Posto, dunque, che, in linea generale, si può continuare a chiedere e sollecitare l’aiuto delle mamme e delle nonne nella preparazione dei dolci, a questo punto ci si chiede se ci sono altre prescrizioni normative che meritano attenzione, in particolare per quanto riguarda il confezionamento e l’etichettatura del dolci che vengono venduti e/o consumati. In realtà ci sono numerose norme europee, recepite dalla normativa nazionale, che si occupano della materia; si vedano, in proposito:
* il Decreto Legislativo 15 dicembre 2017 n. 231 “Disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni del regolamento (UE) n. 1169/2011 relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori e l'adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del medesimo regolamento (UE) n. 1169/2011 e della direttiva 2011/91/UE, ai sensi dell'articolo 5 della legge 12 agosto 2016, n. 170 Legge di delegazione europea 2015” che, a decorrere dal 9 maggio 2018, ha abrogato il Decreto Legislativo 109/1992;
* il Regolamento europeo del 25 ottobre 2011, n. 1169/2011 del Parlamento Europeo e del Consiglio relativo all’indicazione degli allergeni;
* il Regolamento CE 178/2002 sulla rintracciabilità degli alimenti e qualità dei prodotti.
In particolare, i dati del prodotto che devono essere visibili sull’etichetta degli alimenti pre-confezionati in base al Regolamento europeo sono i seguenti:
* denominazione legale alimento;
* lista ingredienti;
* allergeni che vengono utilizzati nella produzione o nella preparazione di un alimento, presente nel prodotto finale, anche se in forma modificata;
* quantità di un determinato ingrediente o categorie di ingredienti;
* quantità netta dell’alimento;
* data di durata minima o data termine di utilizzo;
* qualunque condizione particolare di conservazione e/o utilizzo;
* il nome e l’indirizzo dell’operatore professionale alimentare dell’alimento che viene commercializzato (o il nome dell’importatore se l’operatore professionale alimentare risiede al di fuori della UE);
* il luogo di origine o provenienza se richiesto previsto dall’articolo 26;
* istruzioni per l’uso;
* relativamente alle bevande contenenti più del 1,2% di alcool per volume, il reale grado alcolico per volume; * dichiarazione nutrizionale.
La normativa nazionale (D.Lgs 231/2017) provvede a sanzionare le violazione alle disposizioni del Regolamento suddetto e ad adeguare le disposizioni del D.Lgs. n. 109/1992 alla normativa comunitaria disponendo, in particolare a tutela del consumatore, le modalità di indicazione obbligatoria degli allergeni per i prodotti non preimballati e per gli alimenti serviti dalle collettività.
Come per la produzione, tuttavia, anche la normativa europea in materia di etichettatura, rintracciabilità degli alimenti e indicazione degli allergeni vede come destinatari le imprese, restando dunque escluse dal suo ambito di applicazione le attività casalinghe non organizzate, come le abbiamo sopra individuate. Se è vero, dunque, che, secondo la normativa vigente, è necessario preconfezionare, etichettare gli alimenti prodotti e garantirne la rintracciabilità è altresì vero che tale obbligo sussiste per i prodotti alimentari posti in vendita o somministrati nell’ambito di un’attività imprenditoriale.
A questo punto occorre però fare un passo ulteriore e pensare cioè alla finalità che le norme si propongono di raggiungere. È evidente, infatti, che tutta questa produzione normativa è destinata ad assicurare la tutela della salute umana e degli interessi dei consumatori, nonché la corretta e trasparente informazione al consumatore. È altrettanto vero che, seguire una corretta procedura, tutela non solo chi consuma ma anche chi produce i dolci. Diventa così non solo una questione di buon senso ma una vera e propria precauzione necessaria anche con riferimento ai dolci e prodotti offerti dalle mamme e dalle nonne, provvedere all’indicazione degli ingredienti utilizzati al fine di garantire una maggior tutela di tutti.
Le allergie e le intolleranze alimentari sono infatti molto diffuse e occorre porre in essere tutte le cautele del caso per evitare sorprese spiacevoli non solo per chi consuma ma anche per chi ha preparato i dolci nella convinzione che “non fanno male a nessuno”. Sarà buona norma, dunque, chiedere a chi si offre di preparare i dolci, di provvedere al loro confezionamento in modo che siano protetti dall’ambiente esterno per evitare contaminazioni, nonché chiedere di indicare esattamente gli ingredienti e la quantità utilizzata per la preparazione (evitando creme e panna o comunque ingredienti che necessitano della conservazione in luogo fresco), così chi acquista e consuma lo farà con consapevolezza.
Manteniamo dunque le tradizioni e le usanze senza lasciarci condizionare da scrupoli spesso non motivati, attuando tuttavia tutte le cautele necessarie al fine di eliminare inutili rischi e, a tale scopo, le indicazioni delle normative sopra riportate, possono essere una utile linea guida da seguire come traccia per un prudente operato.

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