sabato 9 settembre 2023
Tre anni dopo la separazione dalla Comunità di Bose; «Oggi ricomincio. Come ogni giorno», perché «la vita cristiana è sempre un ricominciare, con inizi che non hanno fine»
La presentazione della nuova comunità di fratel Enzo Bianchi

La presentazione della nuova comunità di fratel Enzo Bianchi - .

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«Oggi ricomincio. Come ogni giorno», perché «la vita cristiana è sempre un ricominciare, con inizi che non hanno fine». Fratel Enzo Bianchi ha spiegato il senso della nuova comunità «Casa Madia», nella casa ad Albiano di Ivrea, nella campagna circondata dalla Serra nell’eporediese.

Oggi, in una splendida giornata di sole, con il profumo dell’erba appena tagliata, ha accolto sotto il porticato della cascina appena ristrutturata tanti amici. Le sue parole, pronunciate con vigore, hanno commosso, emozionato e invitato alla riflessione.È partito da lontano, dal IV secolo per spiegare nel giorno dell’inaugurazione della nuova comunità (in tutto 7 monaci compreso lui, 5 uomini e due donne) il senso del ricominciare. Si è ispirato al primo monaco cristiano Antonio, che quando ultracentenario fu interpellato da un discepolo su cosa avrebbe fatto quel giorno, rispose: oggi ricomincio.

Ricomincia da Casa Madia, fratel Enzo a tre anni dalla separazione dalla Comunità di Bose, «si deve ricominciare ogni giorno - ha detto – perché si fallisce l’obiettivo di vivere in pienezza il Vangelo. Noi tentiamo di viverlo ma non ci riusciamo. Pecchiamo. Rimane con noi la grazia di Dio, un amore che non occorre meritare». Ricomincia con una vita di comunione, di preghiera comune (una delle cose che più gli era mancata in questi ultimi anni vissuti da solo nella collina torinese), di accoglienza, di silenzio e ascolto. Con tutti credenti e non credenti, giusti e peccatori, persone semplici ed erudite. Sulle orme di Pacomio.

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Un ricominciare che è anche la conferma della sua scelta di essere un monaco: «Ho sempre detto no a chi voleva diventassi un sacerdote». A Casa Madia (a breve sarà eletto il responsabile e non sarà Bianchi) lo stile sarà dettato dalla preghiera, dall’accoglienza, dal lavoro, dal dialogo, dalla ricerca di fornire le risposte alle domande poste da chi busserà alla loro porta. «Non ho mai cercato il successo o progetto grandiosi, ma risposto a cosa ci veniva chiesto».

Non ha negato la sofferenza vissuta nel distacco dalla comunità di Bose, ha chiesto ancora perdono per ciò che di sbagliato può aver commesso, «oggi il dialogo è ricominciato, non c’è più frizione».

La parola chiave è stata viandante, un termine che piace molto a fratel Enzo. Sarà colui o colei che busserà alle porte e troverà accoglienza (sono già pronte sette camere), nascerà un bosco per favorire la meditazione, la riflessione e la preghiera. Si è dichiarato sconfitto, ma non fallito. Ma su questo non sono d’accordo i suoi amici. In primis l’arcivescovo di Pescara-Penne, Tommaso Valentinetti, legato a Bianchi da una lunga amicizia, nata in Terra Santa negli anni Settanta, «non si deve considerare sconfitto – ha rimarcato – perché non c’è niente da sconfiggere, ma solo da cogliere gli eventi della vita e il poter affermare a 80 anni posso ricominciare. Così come suggeriscono i padri della Chiesa: cado e mi rialzo». È stato lui a presiedere l’Eucaristia e durante l’omelia nel commento del Vangelo ha sottolineato il valore di guardare oltre, avere una visione più ampia, come invita papa Francesco. Ha ricordato gli immigrati nel mondo che osano in cerca di una vita migliore, chi ha fame di pace e misericordia e chi di umanità e della Parola. «Auguro – ha terminato - da “amico” che sappiate rispondere a questa umanità, di donare pace, misericordia e la Parola».

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