giovedì 29 giugno 2023
Il cardinale segretario di Stato Vaticano: l'individualismo ci impedisce di prenderci cura degli altri. La scultura in bronzo è opera dell'artista canadese Timothy Schmalz
Parolin benedice la statua di santa Bakhita: liberiamoci dalle schiavitù
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Il segretario di Stato Vaticano, cardinale Pietro Parolin, ha benedetto stamani a Schio (Vicenza) la scultura "Let The Oppressed Go Free" (Lasciate liberi gli oppressi), dedicata a santa Giuseppina Bakhita che operò contro la schiavitù e la tratta di esseri umani.

Realizzata dall'artista canadese Timothy Schmalz, la scultura ritrae santa Bakhita (1869-1947) mentre apre una botola, dalla quale emergono figure che rappresentano le varie forme di tratta che esistono nel mondo. "Viene da pensare - ha commentato Parolin - che le persone rappresentate finiscano all'altezza della botola, ma in realtà continuano anche nel sottosuolo. Se non tutti gli uomini del mondo, almeno quelli qui presenti possono vedersi raffigurati, perché credo che tutti abbiamo una schiavitù da cui liberarci", e ha invitato a "chiedere a santa Bakhita di aiutarci a liberarci dalla chiusura in noi stessi. L'individualismo che ci impedisce di prenderci cura degli altri, come dovremmo fare. Papa Francesco continua a richiamare su questo: sull'indifferenza con cui guardiamo la realtà del nostro giorno, dei nostri giorni, soprattutto la realtà di sofferenza, dolore e di vulnerabilità. Solo se ci libereremo da questa schiavitù - ha concluso - saremo veramente in grado di aiutare gli altri".

Schio è la città dove ha vissuto ed è sepolta santa Bakhita, protettrice delle vittime del traffico di esseri umani e anche patrona del Sudan.

Ogni 8 febbraio, giorno in cui ricorre la memoria di santa Bakhita, la Chiesa celebra la Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta di persone. Tra le organizzazioni cattoliche, la rete Talitha Kum opera contro la tratta, sostenendo le vittime, i sopravvissuti e le persone a rischio in tutto il mondo.

Una scultura in bronzo lunga 6 metri

La statua in bronzo, che misura 6 metri di lunghezza, 1,2 di larghezza e 2,4 di altezza, è stata realizzata grazie al contributo economico della Rudolph P. Bratty Family Foundation, che appartiene a una famiglia emigrata in Canada dal Nord Italia.

Alla cerimonia di inaugurazione erano presenti: il sindaco Valter Orsi; il donatore dell’opera e presidente della Rudolph P. Bratty Family Foundation, Christopher Bratty; l’autore della scultura Timothy Schmalz; la superiora generale delle Figlie della Carità Canossiane Madre Sandra Maggiolo; la coordinatrice internazionale di Talhita Kum suor Abby Avelino; il parroco e moderatore dell’Unità Pastorale Santa Bakhita monsignor Carlo Guidolin; il presidente dell’Associazione Bakhita Schio-Sudan Gianfrancesco Sartori.

Il passo della Bibbia che dà il titolo all'opera

L'opera “Let The Oppressed Go Free” è ispirata da un passo della Bibbia (Isaia 58:6), dal quale Schmalz ha tratto il titolo: “Questo è il digiuno che voglio, oracolo del Signore: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo".

La scultura installata a Schio è l’opera originale, ma esistono già altre repliche, come quella benedetta dal cardinale e arcivescovo di New York Timothy Dolan nella Cattedrale di San Patrizio (New York, Usa) lo scorso ottobre o quella che sarà installata al Regis College di Toronto (Canada) il prossimo luglio.

La scultura è legata a "Angels Unawares", un’altra opera realizzata da Schmalz installata in Piazza San Pietro a Roma e benedetta da papa Francesco nel 2019. In entrambe le opere, l'artista canadese esprime la vulnerabilità umana: in "Angels Unawares" viene messa in luce la sofferenza e la mancanza di protezione che subiscono i migranti, mentre in "Let The Oppressed Go Free" cerca di dare visibilità al problema del traffico di esseri umani.

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