sabato 3 settembre 2022
"Ci accolse con semplicità, senza metterci in soggezione. Ci disse di pregare, che il Signore gli aveva dato un peso, ma che con il Suo aiuto e le nostre preghiere lo avrebbe portato avanti"
Albino Luciani beato, la suora assistente: ci chiese di pregare
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Pubblichiamo la testimonianza di suor Margherita Marin, religiosa della Congregazione delle Suore di Maria Bambina, assistente presso l’appartamento papale durante il mese di pontificato di Giovanni Paolo I

Vidi per la prima volta Giovanni Paolo I due giorni dopo l’elezione, insieme alle altre suore della nostra comunità chiamate a svolgere il servizio di assistenza presso l’appartamento pontificio. Fino a quel momento non avevo avuto mai occasione di incontrarlo personalmente. Anche se Luciani era conosciuto da noi, perché fin dai tempi del suo episcopato a Vittorio Veneto aveva presso di sé le suore di Maria Bambina.

Ci accolse con semplicità, senza metterci in soggezione. Ci disse di pregare, che il Signore gli aveva dato un peso, ma che con il Suo aiuto e le nostre preghiere lo avrebbe portato avanti. Sapendo che ero la più giovane delle suore, avevo 37 anni, disse: «Mi spiace di aver portato via qualche suora giovane». Ci trattò da subito con familiarità. Ricordo che il giorno seguente al nostro arrivo mi mandarono insieme al segretario p. Magee a ritirare i paramenti e a chiudere la cappella privata del Papa, quella dove Paolo VI usava celebrare la messa al mattino con i suoi segretari, perché Giovanni Paolo I volle invece che la santa messa del mattino fosse celebrata nella cappellina privata all’interno dell’appartamento e fossimo presenti anche noi suore insieme ai segretari: «Noi siamo una famiglia e celebriamo assieme» disse.

Il giorno della messa solenne per l’inizio di pontificato accolse a pranzo anche le suore che erano state con lui in patriarcato a Venezia. Mostrò sempre molto riguardo verso noi suore. Io mi occupavo in particolare del guardaroba e della sacrestia, ma sbrigavo anche altri servizi quando c’era bisogno. Suor Cecilia era la cuoca, suor Vincenza era infermiera, mentre suor Elena coordinava il nostro lavoro. Suor Vincenza era la più anziana, conosceva il Santo Padre da molti anni, lo aveva conosciuto a Belluno al tempo in cui, giovane prete, ebbe problemi di salute e gli prestò assistenza come infermiera; quando poi divenne vescovo, egli richiese una piccola comunità di suore di Maria Bambina per l’appartamento episcopale e desiderò che ci fosse anche lei ad assisterlo. Suor Vincenza lo seguì anche a Venezia e fu l’unica delle suore che erano con lui a Venezia a venire in Vaticano. Suor Vincenza ci disse che non tanto volentieri aveva accettato di venire, perché si sentiva già anziana, ma che poi si trovava bene. Aveva avuto problemi di salute e il Santo Padre, ricordo, ci disse: «Sapete, suor Vincenza è sofferente di cuore e le ho detto di non camminare tanto e di prendere anche l’ascensore personale se ha bisogno».

Nel corso di quel mese io l’ho veduto sempre tranquillo, sereno, sicuro. Sembrava che avesse fatto da sempre il Papa. Anche nella preghiera si vedeva che era unito al Signore. Sapeva trattare con i suoi collaboratori con molto rispetto, scusandosi per recare disturbo. Non l’ho mai visto avere gesti di impazienza con qualcuno, mai. Infondeva coraggio. Era affabile con tutti.

Si alzava presto al mattino, intorno alle 5.00. Poi andava in cappella a pregare per un’ora e mezza. Stando sempre lì nelle vicinanze, noi suore da fuori lo vedevamo. Pregava sempre da solo, i segretari scendevano più tardi per la messa. La messa si celebrava alle 7.00. Mentre il Santo Padre era nella cappella noi suore recitavamo le lodi nel salottino accanto alla cucina, poi andavamo anche noi in cappella per la messa. Durante la celebrazione non faceva omelie. Ricordo invece che alcune volte, quando in quella giornata doveva celebrare la messa da qualche parte, lasciava il padre Magee celebrare al suo posto, e lui assisteva come semplice chierichetto. Rispettava il digiuno eucaristico, quindi solo dopo la messa faceva colazione. Terminata la colazione s’intratteneva nel suo studio per la lettura dei quotidiani e verso le ore 9.00 scendeva per le udienze. Il pranzo era intorno alle 12.30, poi si ritirava per il riposo pomeridiano. Nel pomeriggio solitamente si fermava in appartamento; studiava, leggeva e passeggiava leggendo. Qualche volta andava anche di sopra nel giardino pensile, poche volte è sceso nei giardini vaticani. Il cardinale Villot una volta gli aveva detto: «Santità, se lei scende nei giardini noi dobbiamo chiudere e non lasciar passare nessuno». «Allora», rispose il Santo Padre, «se dovete chiudere... io rimango qua». E così la maggior parte delle volte rimaneva in casa. Riceveva su sua richiesta alcune persone. Prima della cena recitava i Vespri con i segretari, spesso li recitava in inglese. La cena era verso le 19.30. Noi suore non servivamo a tavola, c’era per questo l’aiutante di camera Angelo Gugel. Diceva poi compieta con loro, e mentre noi eravamo ancora a riordinare il refettorio, veniva a salutarci. Tutte le sere. Ricordo che ci raccomandava sempre le preghiere per i tanti bisogni nel mondo, a me chiedeva sempre qualcosa riguardo alla preparazione della liturgia del giorno seguente; poi ci augurava la buona notte, salutandoci sempre con queste parole: «A domani, suore, se il Signore vuole celebriamo la messa assieme». Si ritirava presto.

L’ultimo giorno fu come gli altri. Al mattino entrò in cappella a pregare alla solita ora ed ha celebrato con noi la santa messa alle sette. Ha fatto normalmente colazione, poi si è fermato un po’ a leggere i quotidiani, quindi è andato giù per le udienze del mattino. Verso le 11.30 è ritornato su in appartamento e ricordo che è venuto in cucina, come spesso faceva, chiedendoci un caffè: «Suore, avete un caffè? Potreste prepararmi un caffè?». Si sedette prese il caffè e andò poi nel suo studio. Pranzò con i segretari e poi si ritirò per il solito riposo pomeridiano. Quel pomeriggio lì rimase sempre in casa, non si mosse mai dall’appartamento e non ricevette nessuno perché ci disse che stava preparando un documento ai vescovi. Io non so però a quali vescovi fosse indirizzato. Lo ricordo bene perché quel pomeriggio io ero a stirare nel guardaroba con la porta aperta e lo vedevo passare avanti e indietro. Camminava nell’appartamento con i fogli in mano che stava leggendo, ogni tanto si fermava per qualche appunto e poi riprendeva a camminare leggendo e, camminando, passava davanti dove mi trovavo io. Ricordo che vedendomi stirare mi disse anche: «Suora, vi faccio lavorare tanto... ma non stia a stirare tanto ben la camicia perché è caldo, sudo e bisogna che le cambi spesso... stiri solo il colletto e i polsi che il resto non si vede mica sa...». Me lo aveva detto in dialetto veneto, come spesso usava con noi.

Dopo cena ricevette la chiamata del cardinale di Milano Giovanni Colombo. Già al mattino avevo sentito il Santo Padre parlare con il padre Magee riguardo a questa telefonata. E dopo cena, il Santo Padre, andò a rispondere al telefono e parlò con il cardinale. Non ricordo esattamente quanto tempo rimase in quella conversazione, forse una mezza ora. Dopo venne da noi, come faceva sempre, per salutarci prima di ritirarsi nel suo studio. Ricordo che mi chiese quale messa gli avessi preparato per il giorno seguente e gli risposi: «Quella degli Angeli». Ci augurò la buona notte con le parole che ogni sera ci ripeteva: «A domani, suore, se il Signore vuole, celebriamo la messa insieme».

Ho impresso ancora nella memoria un particolare di quel momento lì: eravamo tutte assieme nel salottino con la porta aperta, la porta era proprio davanti a quella dello studio privato, e quando, dopo averci già salutato, il Santo Padre è stato sulla porta dello studio, si è girato ancora una volta e ci ha salutato di nuovo, con un gesto della mano, sorridendo... mi sembra di vederlo ancora lì sulla porta. Sereno come sempre. È l’ultima immagine che mi porto di lui.

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