martedì 2 settembre 2014
​Scola: con lui la sfida del nuovo umanesimo per una città in cerca di un'identità solidale. Messa in Duomo (il video dell'omelia) per l'arcivescovo che guidò la diocesi ambrosiana dal 1979 al 2002.
Martini e fratel Ettore. In sintonia
COMMENTA E CONDIVIDI
Milano ha bisogno di una «identità solidale». Di un «nuovo umanesimo». Per «tenere in unità il molteplice, a partire dalle diverse visioni del mondo» che anche nella metropoli e nelle terre lombarde «ormai si incrociano». Per affrontare le sfide d’oggi: come l’Expo, evento che «speriamo decisivo per la ripresa di Milano, e non solo». In questo non mancano i maestri né i testimoni. Come fu, come è, il cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano dal 1979 al 2002, morto a Gallarate il 31 agosto 2012. A quel magistero, a quella testimonianza, ha attinto il suo secondo successore, il cardinale Angelo Scola, nella Messa celebrata domenica pomeriggio nel secondo anniversario della morte del gesuita biblista chiamato da Giovanni Paolo II alla cattedra di Ambrogio. Letteralmente gremito il Duomo; in prima fila la sorella di Martini, Maris, e il nipote Giovanni Facchini Martini, assieme ad altri parenti. Fra i concelebranti il primo successore di Martini, il cardinale Dionigi Tettamanzi, e i segretari via via succedutisi al fianco del Martini arcivescovo a Milano. A concludere il rito, la preghiera di Scola e dei concelebranti alle sepolture in cattedrale di Martini e di un altro indimenticato arcivescovo ambrosiano, il beato Alfredo Ildefonso Schuster (del quale sabato scorso cadeva il 60° anniversario della morte). Scola in omelia ha offerto un viaggio «all’origine dell’ansia pastorale» di Martini, «che lo portava ad ascoltare tutti in modo criticamente aperto». Un viaggio all’origine di quel «dinamismo dell’amore» che, nell’Eucaristia, «ci unisce a Gesù e agli uomini». All’incontro con quel Dio che «si prende cura di noi». E che chiama tutti i cristiani, «proprio perché cristiani», a prendersi a cuore «ogni uomo e ogni donna della nostra Milano e di tutte le terre ambrosiane». Partendo «da chi è nel bisogno», per aprirsi ad «una condivisione che ci educhi». Ecco la traiettoria additata da Scola alla soglia del nuovo anno pastorale, «nell’ottica dell’evangelizzazione della metropoli» che l’8 maggio scorso, alla "Professio fidei", ha visto i cattolici ambrosiani portare «il Sacro Chiodo negli ambienti della sofferenza, dell’emarginazione, dell’immigrazione, del lavoro, della cultura, infine in piazza Duomo. A significare che il campo della vita cristiana è il mondo». E che la testimonianza di fede dei cristiani deve «implicare il loro contributo all’edificazione della vita buona nella città degli uomini». A questo punto Scola ha citato un discorso di Martini, "Paure e speranze di una città", pronunciato al Comune di Milano il 28 giugno 2002. «Scegliersi l’ospite è avvilire l’ospitalità, diceva sant’Ambrogio. Il magnanimo ospitante – spiegava Martini – non teme il diverso, perché è forte della propria identità. Il vero problema è che le nostre città, al di là delle accelerazioni indotte da fatti contingenti, non sono più sicure della propria identità e del proprio ruolo umanizzatore». Bisogna invece guardare la città «come opportunità e non solo come difficoltà». «L’identità solidale cui il cardinale fa riferimento», commenta Scola, «non è da intendere in modo statico», «difensivo», dunque «incapace di affrontare il nuovo», bensì «dice un processo nel quale la tradizione è concepita come un’esperienza in continua crescita». Alla novità della società plurale i cristiani offrono quell’«anelito all’unità che valorizza la pluriformità» e che «hanno ricevuto, per puro dono». Un anelito che possa rispondere all’«urgenza di nuovo umanesimo». Che ha in Martini un maestro e un testimone.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: