giovedì 17 novembre 2016
Intervista al cardinale DiNardo: con la Casa Bianca vorrei parlare del mandato contraccettivo imposto ai datori di lavoro, dei fondi federali per l'aborto e dell'accoglienza agli immigrati
Il cardinale Daniel Nicholas DiNardo, neo eletto presidente dei vescovi Usa (Ansa)

Il cardinale Daniel Nicholas DiNardo, neo eletto presidente dei vescovi Usa (Ansa)

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Si può intravedere una missione che i vescovi americani si sono dati eleggendo i loro nuovi leader. Il presidente, in carica da oggi, è Daniel DiNardo, guida dell’arcidiocesi di Galveston-Houston, in Texas, dove «ogni domenica si dice Messa in 65 lingue diverse» e dove la metà dei cattolici è di origine latinoamericana. Il vicepresidente è José Gomez, arcivescovo di Los Angeles, dove i latinos rappresentano il 70 per cento dei 5 milioni di cattolici.

Cardinale DiNardo, pensa che i suoi confratelli vescovi le abbiano assegnato un mandato di particolare attenzione ai migranti?

Vedo il mio ruolo nel senso di accrescere la capacità della Chiesa americana di guardare alla persona umana e di rispettarla, indipendentemente dalla sua condizione di immigrato o meno, con o senza documenti. Siamo prima di tutto pastori. Se qualcuno è straniero lo accogliamo e lo facciamo sentire benvenuto, è sempre stato così e continuerà ad esserlo.

Fra i suoi compiti figura anche la gestione dei rapporti istituzionali con la nuova amministrazione. Crede che ci sarà spazio per una collaborazione sul fronte delle politiche per l’immigrazione?

Credo che ci possa essere un dialogo con la nuova amministrazione. Continueremo a dare voce a chi non ha voce, ma lo faremo in modo rispettoso. La nostra missione è aiutare la gente a unirsi, sottolineando l’importanza della dignità umana attraverso la preghiera.

In quali ambiti crede che le politiche di questa Amministrazione possano allinearsi con la missione della Chiesa cattolica americana?

Non sono sicuro dove questa amministrazione voglia dirigersi. Ci sono stati vari commenti fatti durante la campagna elettorale che hanno dato adito ad ottimismo, ma è presto per capire se saranno messi in atto. La mia speranza è che possiamo sederci attorno a un tavolo con l’amministrazione e parlare dell’Affordable Care Act (la riforma della sanità del 2010 nota come Obamacare, ndr.), parlare del mandato contraccettivo che questa ha imposto ai datori di lavoro anche cattolici. Vorrei vedere l’emendamento Hyde, che proibisce che fondi pubblici federali vengano usati per l’aborto, esteso ancora una volta, ma senza le difficoltà che ha incontrato durante gli ultimi anni. Le nomine di giudici, poi, sono molto importanti, soprattutto del nono giudice della Corte suprema, attualmente mancante. Ma ci sono anche i temi di difesa della vita. Ho alcune idee di azioni esecutive che il presidente può intraprendere per proteggere il nascituro anche senza far ricorso al Congresso e spero di avere occasione di condividerle con lui.

Parlando di Obamacare: in che direzione può essere riformata?

Il punto di un sistema sanitario è che tutti siano curati e nessuno venga ucciso. Noi vescovi abbiamo difeso questa posizione e il nostro desiderio di un’espansione della copertura sanitaria ai più vulnerabili praticamente dalla fondazione della nostra conferenza, quasi cent’anni fa. Il problema che si è creato negli anni è il diverso concetto di “cure” che ci viene proposto. La contraccezione, l’aborto per noi non sono cure.

I cattolici sono emersi divisi da queste elezioni, come il resto degli americani. Come risanare le ferite?

Non si può pensare ai cattolici solo come a un gruppo demografico di elettori. Siamo una Chiesa, siamo uniti in Cristo, nei suoi insegnamenti e nella preghiera. Il nostro lavoro è aiutare i fedeli a vedere che condividono la stessa attenzione per la dignità umana.

Come aiutarli a superare una campagna elettorale così polarizzante?

È un lavoro che esige disciplina. La nostra priorità come pastori è riportare i cattolici a uno stato d’animo di ascolto gli uni degli altri e di proclamazione della fede di base della nostra Chiesa. Vengo dal Texas, dove si dice Messa in 65 lingue diverse e dove la diversità sociale, economica e etnica è enorme. Eppure la mia esperienza mi dice che i cattolici hanno molto in comune. Non si sentono lacerati dalla passione per un candidato o l’altro, piuttosto cercano modi di vivere la loro fede nel contesto in cui si trovano. Sono preoccupati di dare un’educazione di fede ai loro figli, o di trovare modi di aiutare i poveri. Certo per creare questo terreno di ascolto è importante continuare l’azione di catechesi, affinché i cattolici conoscano bene la loro fede e la sappiano condividere.

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