sabato 20 maggio 2023
Il prefetto della Dottrina della fede, cardinale Ladaria: quel documento è stato capace di unire la libertà con la natura.
Paolo VI mentre firma l'enciclica Humanae Vitae il 25 luglio 1968

Paolo VI mentre firma l'enciclica Humanae Vitae il 25 luglio 1968 - Archivio

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Un invito a interrogarsi «seriamente sui problemi che pone la distanza tra le indicazioni del magistero della Chiesa circa la generazione della vita e il vissuto quotidiano della società in generale, ma anche dei cattolici stessi». È quello risuonato ieri, nel messaggio con cui il cardinale Matteo Zuppi, è intervenuto al convegno sull’Humanae vitae di Paolo VI, organizzato dalla Cattedra Internazionale di Bioetica Jérôme Lejeune. Anche perché, ha aggiunto il presidente della Cei, «non dobbiamo favorire la logica sterile degli schieramenti, facilmente e indebitamente amplificata dagli organi di stampa».

La famosa enciclica di papa Montini fece discutere fin dal momento della sua pubblicazione, 55 anni fa. Ma si è dimostrata lungimirante, come ha più volte ribadito anche papa Francesco. Secondo il cardinale Luis Francisco Ladaria Ferrer, prefetto del Dicastero per la dottrina della fede, quel documento è stato capace di unire la libertà con la natura.

Commentando infatti il titolo del convegno ospitato dall’Augustinianum di Roma (“L’audacia di un’Enciclica sulla sessualità e la procreazione”), il porporato ha fatto notare che l’audacia di quanto scrisse Paolo VI «è molto più profonda» rispetto alla semplice resistenza a quanti chiedevano di «approvare l’uso di contraccettivi ormonali nei rapporti sessuali all’interno del matrimonio cattolico». Il coraggio dell’Humanae vitae, a parere di Ladaria, è di «carattere antropologico» perché ha mostrato la vocazione divina della sessualità, ovvero «la connessione inscindibile» che Dio ha voluto tra il significato unitivo e quello procreativo dell’atto coniugale.

Le vicende successive hanno mostrato quanto san Paolo VI avesse visto lontano. La morale contraccettiva che si è affermata in contrasto con l’enciclica mette in opposizione la natura, il corpo stesso, con un concetto di libertà che pretende di cambiare le «condizioni di vita dell’amore coniugale». Secondo questa visione, ha spiegato il cardinale, l’atto sessuale viene considerato come assolutamente libero e il corpo è «ridotto a pura materialità». Ciò che poi ha aperto nel tempo la strada a una serie di derive, in particolare a «un’allarmante diminuzione delle nascite e a una moltiplicazione del numero di aborti”».

In altri termini il controllo delle nascite con l’uso di contraccettivi, evolvendosi, ha portato alla trasmissione della vita, attraverso tecniche di riproduzione assistita. Prima si è accettata la sessualità senza figli, poi si è accettato di produrre figli senza l’atto sessuale. Dunque, ha notato Ladaria, la vita stessa da dono è stata ridotta a prodotto. Per questo l’enciclica resta profetica anche oggi, al fine di contrastare i «veri e propri antiumanesimi», riscontrabili sia nell’ideologia gender – in cui non è il corpo che identifica una persona ma il suo orientamento – sia nel «transumanesimo», in cui la persona essendo «ridotta alla sua mente» può trasferire la sua essenza «a un altro corpo umano, a un corpo animale, a un cyborg, a un semplice file di memoria».

In pratica, di questa antropologia, ha insistito il cardinale Ladaria, «il cyborg appare come la piena realizzazione», giacché accetta la «costruzione del corpo e del sesso attraverso la biotecnologia», un mondo – in estrema sintesi – «senza maternità» e dunque «postumano».

Invece, come ha ricordato Zuppi, «nel mistero della generazione è in gioco la concezione costitutivamente filiale dell’essere umano, che si trova in vita ricevendosi nel proprio corpo per iniziativa di altri».

Anche per monsignor Vincenzo Paglia, il messaggio ed il valore dell’Enciclica stanno nel «riconoscimento della connessione inscindibile tra amore coniugale e generazione». In una intervista a Vatican news, il presidente della Pontificia Accademia per la Vita invita a proseguire nella riflessione teologica sulle questioni poste dal documento e anche a collocare la lettura del suo testo nel più ampio orizzonte del magistero di papa Francesco.

«Negli anni Sessanta - afferma l’arcivescovo - la ‘pillola’ sembrava il male assoluto. Oggi abbiamo sfide ancora più forti: la vita dell’intera umanità è a rischio se non si ferma la spirale dei conflitti, delle armi, se non si disinnesca la distruzione dell’ambiente. Vorrei ci fosse una lettura che integri Humanae vitae con le encicliche di Papa Francesco (e di Giovanni Paolo II) e con Amoris laetitia, per aprire una nuova epoca di umanesimo integrale. Abbandonando quindi letture parziali. Oggi, infatti - conclude Paglia -, la sfida del proseguimento, tutela, sviluppo, della vita umana, va posta a tutto campo, come ci insegnano Laudato si’ e Fratelli tutti».

Paolo VI mentre firma l'enciclica Humanae Vitae il 25 luglio 1968

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