sabato 25 gennaio 2025
«Questo Giubileo per i giornalisti è l’occasione per mettersi in discussione, credenti e non credenti: chi siamo, cosa facciamo, in nome di cosa operiamo»: la voce del presidente nazionale dell'Ordine
Carlo Bartoli, presidente nazionale dell'Ordine dei giornalisti

Carlo Bartoli, presidente nazionale dell'Ordine dei giornalisti - Sara Minelli

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Che cos’è il giornalismo senza una deontologia professionale, senza un’etica che guidi le scelte e chiami in causa la responsabilità sociale, e non solo individuale, del giornalista? Semplicemente, non è giornalismo. Se il giornalista deve orientare il cittadino dovrà pur avere una bussola, un patrimonio di valori e di princìpi che gli consentano di parlare a una società che negli ultimi decenni ha progressivamente perso i propri riferimenti, in termini di classi sociali, di ideologie, di ideali. In una società frammentata e disorientata, nella quale la propria percezione della verità si sovrappone e oscura la verità sostanziale dei fatti, non servono narrazioni. Serve il racconto fedele dei fatti, servono analisi rigorose e non improvvisate, serve un occhio capace di scrutare il lato umano delle vicende, di avere umanità e partecipazione.

Noi abbiamo bisogno di ossigeno. Di uscire dall’apnea di ritmi che ci travolgono, dall’ansia per la crisi di un sapere o un saper fare costantemente messi alla prova, dall’aria viziata di una società in cui la dinamica del conflitto è permanente, una società nella quale il dialogo viene interpretato spesso come manifestazione di debolezza, di indecisione, di mancanza di coraggio. Il Giubileo, con il suo richiamo al mettersi in cammino e farsi pellegrini di speranza, è una grande occasione per mettersi in discussione. Credenti o non credenti, possiamo sfruttare questa opportunità per chiederci chi siamo, cosa facciamo, come lo facciamo, in nome di cosa operiamo, Un’opportunità per tornare all’essenza del nostro lavoro, alle nostre responsabilità.

D’altronde ogni contenuto informativo – che sia un articolo scritto, un podcast, un’inchiesta televisiva o un racconto nativo digitale e multimediale – rappresenta una sorta di viaggio: un’esplorazione verso fatti, persone, luoghi, dinamiche sconosciuti in tutto o in parte, che ci lascia diversi da come ci ha trovati, e ci porta spesso verso destinazioni impreviste e imprevedibili. Al giornalista tocca il compito di riconoscere il proprio pubblico, comprenderlo e accompagnarlo, spesso anche più lontano o verso mete diverse da quelle immaginate o richieste.

«Costruite, attraverso la vostra offerta, una domanda diffusa di qualità», diceva nel marzo scorso papa Francesco al personale e ai dirigenti della Rai, riuniti in Sala Nervi. Parole che toccano un punto nodale della grande crisi dei media, e finiscono per indicare una delle strade che ci restano per non cedere alla deriva delle fake news, delle manipolazioni su scala industriale, sui condizionamenti degli algoritmi. Allargare gli orizzonti, alzare la qualità della mediazione che offriamo quotidianamente con il nostro lavoro è il modo migliore per non rassegnarci a un’opinione pubblica disinformata, disarmata e plasmabile. «L’intero sistema dei media ha bisogno di essere provocato e stimolato a uscire da sé e a mettersi in discussione per guardare al di là, oltre», suggeriva papa Francesco. Insomma, il giornalismo come metafora dell’esistenza, di un percorso da esploratori del non conosciuto, dell’ignoto.

* Presidente nazionale Ordine dei giornalisti

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