
A sinistra: Paolo VI durante il viaggio in Colombia, nel 1968. A destra: papa Francesco a Timor Est nel 2024 - foto Siciliani e Ansa
L’Evangelii nuntiandi di Paolo VI? «Per me il documento pastorale più grande che è stato scritto fino a oggi». Parola di papa Francesco. Pronunciata il 22 giugno 2013, ricevendo i partecipanti al pellegrinaggio della diocesi di Brescia, guidato dal vescovo Luciano Monari, nel 50° dell’elezione del loro «grande conterraneo». Fin dall’inizio del suo pontificato, Jorge Mario Bergoglio dichiara la sintonia profonda, la sincera ammirazione e il grande debito che sente di avere nei confronti di Giovanni Battista Montini.
Ricordare ora, per sommi capi, come il Papa della Evangelii gaudium e della Gaudete et exsultate abbia trovato ispirazione nel magistero, nelle scelte e nei gesti del Papa della Evangelii nuntiandi e della Gaudete in Domino – e ricordare come fu proprio Francesco a beatificare nel 2014 e canonizzare nel 2018 Paolo VI – non è solo guardare al passato. Al contrario: può aiutare a illuminare un poco di più il cammino che viene. Nella luce di quei tre “amori” – «l’amore a Cristo, l’amore alla Chiesa e l’amore all’uomo» – che Francesco additò ai pellegrini bresciani come «gli atteggiamenti fondamentali, ma anche appassionanti di Paolo VI».
Anzitutto: in Paolo VI c’è «un profondo amore a Cristo non per possederlo, ma per annunciarlo», disse Francesco attingendo allo storico discorso di Paolo VI a Manila nel 1970. «Cristo! Sì, io sento la necessità di annunciarlo, non posso tacerlo! – disse papa Montini nell’omelia della Messa nella capitale delle Filippine –. Egli è il Redentore; … Egli è il centro della storia e del mondo; Egli è Colui che ci conosce e che ci ama; Egli è il compagno e l’amico della nostra vita; Egli è l’uomo del dolore e della speranza; è Colui che deve venire e che deve un giorno essere il nostro giudice e, noi speriamo, la pienezza eterna della nostra esistenza, la nostra felicità».
«Queste parole appassionate – commentò Bergoglio – sono parole grandi. Ma io vi confido una cosa: questo discorso a Manila, ma anche quello a Nazaret, sono stati per me una forza spirituale, mi hanno fatto tanto bene nella vita. E io torno a questo discorso, torno e ritorno, perché mi fa bene sentire questa parola di Paolo VI oggi». Papa Montini, riconobbe Bergoglio in quell’occasione, «ha saputo testimoniare, in anni difficili, la fede in Gesù Cristo. Risuona ancora, più viva che mai, la sua invocazione: “Tu ci sei necessario o Cristo!”. Sì, Gesù è più che mai necessario all’uomo di oggi, al mondo di oggi, perché nei “deserti” della città secolare Lui ci parla di Dio, ci rivela il suo volto». Quel Gesù – dirà Francesco, il Papa della tenerezza di Dio – che è «volto della misericordia del Padre».
Poi: Paolo VI ebbe «un amore appassionato» per la Chiesa, «l’amore di tutta una vita, gioioso e sofferto, espresso fin dalla sua prima enciclica, Ecclesiam suam». Un testo – che chiama al dialogo col mondo come via dell’annuncio del Vangelo – che è fra le “bussole” del Papa argentino, della sua visione di “Chiesa in uscita” proiettata verso le periferie geografiche ed esistenziali. Ed è “bussola” preziosa – con la citata esortazione apostolica Evangelii nuntiandi del 1975 – pure l’enciclica Populorum progressio del 1967. In essa si afferma che, per essere autentico, lo sviluppo «deve essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo». Una riflessione che è stata “lievito” per le encicliche di Bergoglio Laudato si’ (con la sua proposta di ecologia integrale e l’affermazione della connessione profonda fra cura del creato e giustizia sociale) e Fratelli tutti (che pone la fraternità e l’amicizia sociale a fondamento di una società più giusta).
In Paolo VI l’amore per l’uomo «è legato a Cristo: è la stessa passione di Dio che ci spinge a incontrare l’uomo, a rispettarlo, a riconoscerlo, a servirlo», disse inoltre Francesco citando il Montini che, a conclusione del Vaticano II, ricorda come «l’antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio», e come tutta la «ricchezza dottrinale» che ne è sgorgata «è rivolta in un’unica direzione: servire l’uomo», in «ogni sua condizione, in ogni sua infermità, in ogni sua necessità». Parole care a Bergoglio, il Papa di una Chiesa «ospedale da campo», che si china sulle ferite dell’umanità, che si sporca le mani per servire Dio nei poveri e negli emarginati, testimoniando la gioia del Vangelo.
Numerose altre sono le assonanze, le risonanze e le connessioni fra i due pontificati. Si pensi a come Paolo VI diede impulso all’internazionalizzazione del Collegio cardinalizio, avviò la riforma della Curia, avvicinò il Vescovo di Roma al popolo di Dio (anche con segni come la rinuncia alla tiara). Si pensi alla sinodalità, fra i temi centrali del papato di Francesco, e “processo” che ha in Paolo VI – al quale si deve l’istituzione del Sinodo dei vescovi – il precursore. E al Paolo VI del «Jamais plus la guerre!» scandito all’Onu hanno certamente guardato le parole e i gesti di pace di Francesco. Un altro grande capitolo: i viaggi. Paolo VI fu il primo Papa a farsi incontro ai popoli del mondo. Scegliendo spesso – come farà poi Francesco – luoghi “periferici” – al suo tempo, e in alcuni casi anche oggi – come l’Uganda, l’India, la Turchia, la Colombia dei campesinos, fino all’Estremo Oriente e all’Oceania, le mete dell’ultimo grande viaggio internazionale sia per Montini sia per Bergoglio.
A proposito di viaggi: un’ultima “risonanza”, per concludere questa parzialissima ricognizione. Molto si è detto e scritto della scelta di Francesco di essere messo nella bara con le vecchie, logore scarpe di tutti i giorni. Ebbene: in una pubblicazione della Confederazione dell’Oratorio di San Filippo Neri dal titolo “Pellegrino con le scarpe rosse” (citata nel blog del vaticanista Luigi Accattoli) è raccolta una confidenza del segretario di Montini, monsignor Pasquale Macchi. Questi, riordinando un giorno i suoi effetti personali, chiese al Papa che fare di alcuni vecchi indumenti. «Ci sono anche queste vecchie scarpe che lei non usa più da tanti anni», aggiunse. «Sono le mie scarpe da pellegrino: con queste scarpe ho fatto tutti i miei viaggi apostolici. Mi rimane un pellegrinaggio da compiere, il più importante. Quando partirò, le chiedo di calzarmi queste scarpe», rispose Paolo VI. Alla sua morte «qualcuno, vedendolo esposto alla venerazione dei fedeli, non capì perché non gli erano state messe delle scarpe nuove». Ecco: questo loro gesto umile dice come si possa essere maestri e testimoni del Vangelo anche scegliendo un paio di scarpe vecchie per l’ultimo grande viaggio.