giovedì 15 ottobre 2020
Nel volume “Educazione” il presidente della Fraternità di Cl sottolinea che educare è comunicare se stessi, il modo in cui viene concepita e si tratta la realtà
Carrón: libertà dei giovani ed efficacia della testimonianza
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Mai come in questo periodo ci accorgiamo che alla radice di molti episodi di cronaca nera che coinvolgono i giovani sta una questione educativa. A cosa vengono educati? Quali sono i loro modelli di riferimento? Dove risiedono gli antidoti alla violenza, all'individualismo, alla mercificazione del corpo, e ultimamente al nichilismo che - in maniera tanto silenziosa quanto efficace pervade le menti e i cuori?

Qualcuno (troppi) si illude che sia sufficiente aumentare i controlli, sfornare nuove regole per l’uso o al massimo evocare valori alti ai quali riferirsi. Ma nelle dighe che vengono edificate con questi materiali si moltiplicano le falle, l’urto della realtà è più forte delle contromisure. Serve altro. Servono persone che mettano in gioco la loro umanità, accettino la sfida di un coinvolgimento personale e di un ascolto vero del grido di significato che sale da quelli che spesso vengono liquidati come fatti efferati o inspiegabili. Nel titolo del libro pubblicato in questi giorni - Educazione. Comunicazione di sé (Edizioni San Paolo, 96 pagine, 5 euro) - Julián Carrón, presidente della Fraternità di Comunicazione e Liberazione, racchiude la chiave della risposta agli interrogativi di cui sopra.

«L’educazione – scrive – è una comunicazione di me stesso, cioè del modo in cui concepisco e tratto la realtà. La risposta al problema educativo non può essere una teoria, deve essere qualcosa che si offre nell’esperienza. È inutile fornire una risposta se non c’è un “corpo” in cui la si può vedere incarnata». Pasolini lo diceva nel 1976: «Se qualcuno ti avesse educato, non potrebbe averlo fatto che col suo essere, non col suo parlare». E già dagli anni Cinquanta, quando quasi tutti erano battezzati e le chiese erano piene di fedeli, don Giussani insegnando al Liceo Berchet di Milano e incontrando tanti giovani aveva intuito che un cristianesimo ridotto a dottrina e a precetti morali stava perdendo il suo fascino, la capacità di muovere la vita.

E quindi, la sua energia educativa. Che fare, dunque? E qual è il contributo che i cristiani possono portare per «ricostruire il patto educativo globale», come ha chiesto papa Francesco in vista dell’appuntamento internazionale convocato per oggi? L’educazione dei figli è una sfida per gli adulti, argomenta Carrón, che ha scritto questo libro proprio come contributo all’incontro promosso dal Papa. «Solo se verifichiamo noi, nella nostra esperienza, che la proposta cristiana rappresenta la soluzione al problema della vita, possiamo comunicarla agli altri. (...) Non si può proporre un cambiamento senza indicare un luogo dove si possa sperimentare».

Come è accaduto duemila anni fa a Giovanni e Andrea che al primo incontro con Gesù si sono sentiti dire “venite e vedete”, toccate con mano se quello che vi propongo è la risposta a ciò che cercate. Ha proposto la sua persona sfidando la loro libertà, perché non c’è accesso alla verità senza l’uso della libertà. Per questo un educatore deve puntare tutto sulla libertà dei giovani e sulla efficacia della testimonianza, sulla forza contagiosa di un’esperienza da vivere nel presente, più che sul potere di regole e parole. È la sfida lanciata ai cristiani da papa Francesco nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium: «Non mi stancherò mai di ripetere quelle parole di Benedetto XVI che ci conducono al centro del Vangelo: “All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzione decisiva”».

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