
Carlo Acutis in uno dei suoi ultimi viaggi - .
Il San Gerardo di Monza, più che un ospedale, è una piccola cittadella. Don Riccardo Brena, parroco al nosocomio dal 2022, percorrendone ogni giorno i suoi lunghissimi corridoi per salutare i pazienti, vede i suoi reparti ampliarsi e spostarsi di mese in mese. Quando attraversa il giardino, alza spesso lo sguardo verso l’undicesimo piano: «Là, era ricoverato Carlo Acutis», ripete. Il ragazzo beato, che il prossimo 27 aprile sarà proclamato santo a Roma, rimase poco in realtà tra i reparti: fu portato in ospedale d’urgenza il 9 ottobre 2006, quando già gli era stata diagnosticata una leucemia fulminante di tipo M3, l’11 ottobre entrò in coma per un’emorragia cerebrale e il giorno dopo, alle 5.55, il suo cuore smise di battere. La degenza non durò più di 72 ore ma, di quel tempo, gli infermieri e i dottori che tentarono di salvargli la vita hanno un ricordo lucido.
Poco dopo il suo arrivo in ospedale, Acutis fu trasferito nei reparti di ematologia pediatrica della Fondazione Centro Maria Letizia Verga, dove lavorava il dottor Momcilo Jankovic, pediatra emato-oncologo in pensione, che ancora torna ogni settimana al San Gerardo per studiare e lavorare. Nel 2006 era in turno quando Carlo fu ricoverato: «Arrivò in condizioni già critiche, che neppure oggi riusciremmo a curare nonostante i progressi della ricerca – racconta –, ma ricordo che aveva un’espressione molto dolce, quella di chi è convinto di potercela fare. Ci ha trasmesso grande positività nonostante la malattia». E un ricordo simile lo conserva Mercedes Arguello, la dottoressa che più di tutte è stata vicina a Carlo in quelle 72 ore. Per lei, che dal Nicaragua si era trasferita a Monza per svolgere un anno di formazione all’estero, si è trattato dell’unico decesso in tutta la sua esperienza in Italia: «Era arrivato in ospedale in condizioni tragiche – racconta ad Avvenire dal Nicaragua – ma irradiava una pace e una serenità che ancora mi stupiscono a distanza di anni, se penso che era solo un quindicenne e stava vivendo una situazione tanto difficile».
Anche per l’infermiera Claudia Negri, che nel 2006 era referente del reparto di Acutis, «i casi come il suo sono rari e difficili da dimenticare». A lei era stato affidato il complicato compito di spiegare a Carlo, già molto sofferente, quale fosse il suo quadro clinico: «Queste cose si dicono cercando di raccontare la verità anche a ragazzi di quindici anni – spiega –. Sapevamo che il suo esito poteva essere infausto e ricordo che, quando gli abbiamo detto che la situazione era critica, non si è opposto in alcun modo». La conferma del fatto che Carlo avesse accettato una morte tanto repentina arriva anche dalla sua cartella clinica. O, almeno, da chi l’ha potuta leggere. «Nella cartella – rivela Claudio Cogliati, presidente del San Gerardo – non c’è un segno di lamentela in tutto il periodo del ricovero. È vero che sono documenti scarni, ma spesso viene scritto se il paziente si agita. Per Carlo non è stato così in nessun modo, come se avesse accettato il destino riservatogli dalla sorte».