lunedì 6 novembre 2017
Il cardinale Amato ha celebrato il rito di beatificazione della religiosa uccisa nel 1995 con 54 coltellate. Oggi l'assassino venera le sue spoglie.
Il cardinale Toppo con l'assassino di suor Rani, Samandar Singh (foto Anto Akkara)

Il cardinale Toppo con l'assassino di suor Rani, Samandar Singh (foto Anto Akkara)

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«Suor Rani aveva fame e sete di giustizia. Per questo fu uccisa, il 25 febbraio 1995. Il sicario infierì sul suo corpo con 54 colpi di coltello. Fu un vero massacro. Mentre veniva uccisa, la suora ripeteva il nome di Gesù». Così ha detto il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle cause dei santi, sabato scorso a Indore, nello Stato indiano del Madhya Pradesh.

Il porporato ha presieduto la celebrazione eucaristica e il rito di beatificazione di Rani Maria Vattalil, religiosa della Congregazione delle Suore Clarisse Francescane. Suor Rani Maria era nata nel Kerala il 29 gennaio 1954 e svolgeva il suo apostolato ad Udaynagar, nella diocesi di Indore, soprattutto a favore dei contadini e delle donne dei villaggi. «La tua Parola è lampada ai miei passi e luce alla mia strada» era il versetto del salmo 119 che teneva appeso bene in vista nella sua stanza. «Se noi suore non aiutiamo i poveri chi mai potrà farlo?» amava ripetere.

Il suo giorno del suo martirio, mentre era in viaggio in autobus verso Bhopal, fu costretta a scendere dal mezzo e, davanti a tutti i passeggeri, il suo assassino la colpì ripetutamente infierendo sul suo corpo con un coltello. Doveva essere chiara infatti – ricorda Radio Vaticana – qual era la sorte per chi, nelle trasformazioni dell’India rurale, pretendeva di opporsi alla legge del più forte. «Il motivo di tanto accanimento omicida – ha spiegato nell’omelia Amato – era il fatto che la suora predicava il Vangelo della carità e difendeva i poveri dall'ingiustizia di coloro, che, in modo fraudolento, si impossessavano delle terre. Suor Rani cercava di sottrarre i piccoli proprietari al suicidio o a un triste destino di indigenza assoluta, con concrete iniziative di cooperazione e di microcredito».

A rendere questa vicenda di fede e martirio ulteriormente straordinaria e luminosa, di una luce soprannaturale, è la sorte di Samandar Singh, l’assassino. Il quale in carcere ha vissuto un cambiamento profondo che l'ha portato nel 2002 a riconciliarsi con la famiglia della religiosa, che è arrivata a chiedere per lui la grazia. «Ogni anno nel giorno dell'anniversario della morte – ha raccontato una sorella della suora – Samandar rende omaggio alla sua tomba e offre il grano del suo campo come simbolo di una vita rinnovata. Questo è il modo in cui lui proclama la misericordia di Dio». Anche Samandar Singh era presente al rito di beatificazione.

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