venerdì 16 giugno 2023
Si completa la pubblicazione della monumentale opera in tre volumi “La verità vi farà liberi” sull’atteggiamento dei vescovi del Paese tra il 1976 e il 1983 anni di totalitarismo militare
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A commissionare il lavoro di indagine su uno dei periodi più tristi della storia nazionale è stata la stessa Conferenza episcopale con «l’obiettivo di raccontare la verità storica» Oltre venti ricercatori impegnati per cinque anni
Nel tempo più crudele della storia nazionale, la Conferenza episcopale argentina (Cea) è stata poco profetica. È quanto emerge da “La verità vi farà liberi”, opera monumentale curata da Carlos Galli, Luis Liberti, Juan Durán e Federico Tavelli e articolata in tre volumi editi da Planeta, i primi due già usciti a Buenos Aires e il terzo previsto entro l’anno. È stata la stessa Cea a commissionare la ricerca sull’azione della Chiesa durante l’ultima dittatura, tra il 1976 e il 1983 nella speranza di liberare il presente e il futuro dall’ombra ingombrante del passato. Perché – come dice papa Francesco nell’enciclica “Fratelli tutti” – non si può andare avanti senza memoria. Un lavoro pionieristico che potrebbe essere replicato dagli episcopati di altri Paesi latinoamericani in modo da far luce, nel bene e nel mane, sui rapporti tra la Chiesa e i regimi militari. Un tema quest’ultimo spinoso in Argentina e affrontato, finora, in modo parziale nonché, spesso, ideologico. Per la prima volta, quella pagina dolorosa viene analizzata nella sua integralità grazie allo studio delle principali fonti, in particolare i documenti contenuti negli archivi della Conferenza episcopale argentina e della Segreteria di Stato, declassificati appositamente. Per cinque anni, l’équipe di oltre venti ricercatori sotto la guida della Facoltà di teologia dell’Università cattolica argentina e del decano Carlos Galli ha lavorato su materiale in gran parte inedito, offrendo una lettura articolata, trasparente e plurale della tragica storia vissuta. «Del passato possiamo sapere qualcosa, non tutto. Abbiamo cercato di trovare e raccontare la verità storica, evitando narrative parziali o apologie corporative », afferma il teologo, tra i più noti in America Latina, e giunto a Roma per presentare l’opera oggi (alle 16.30 presso la Sala Marconi di Palazzo Pio) con Federico Tavelli e lo storico Gianni La Bella, autore, insieme ad Andrea Riccardi, di uno dei saggi contenuti nel terzo volume.

Padre Galli come è nata la ricerca?
Una prima intenzione è stata espressa in un documento della Cea del 2012. Già negli anni precedenti, durante la presidenza di monsignor Arancedo, i documenti avevano cominciato ad essere ordinati e messi a disposizione dei familiari delle vittime. Nel 2013, papa Francesco ne ha ordinato la digitalizzazione e nel 2017 abbiamo avuto l’incarico ufficiale per la ricerca.

Alla luce dei documenti, come può essere valutata l’azione della Chiesa durante la dittatura?
All’indomani del golpe, i vescovi speravano che i militari potessero mettere ordine nel caos dilagante. Ben presto, però, hanno dovuto fare i conti con la repressione sempre più feroce. Già nel maggio 1976, si sono resi conto delle sparizioni forzate anche se pensavano si trattasse di casi isolati. Per aprire un canale con la giunta militare al governo, intanto, hanno creato la “Commissione di collegamento” attraverso la quale hanno interceduto per migliaia di prigionieri e scomparsi: 3.115, in base ai nomi contenuti nelle liste compilate dalla Cea e dalla nunziatura. I militari hanno sempre glissato. Tra la fine del 1976 e il 1977 ormai risultava chiaro che la “ desaparición” era una politica sistematica. Da qui il dilemma: denunciare pubblicamente o intercedere dietro le quinte? Alla fine, la Cea – come corpo collegiale, singoli vescovi parlarono apertamente – ha optato per la seconda strategia. E ha sbagliato, nonostante abbia salvato molte vite. Non ci sono state parole e gesti profetici di condanna come le circostanze avrebbero richiesto. Oltretutto le trattative riservate hanno dato meno risultati del previsto per la durezza dei generali.

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Perché i vescovi hanno preferito intervenire in via riservata?
Perché temevano che se fosse caduto il governo militare sarebbe subentrata una giunta ancora più radicale. E perché speravano di ottenere risultati con la pressione dietro le quinte. Non è stato così. E l’azione della Cea è risultata debole, ambigua e poco profetica non, però, complice.

E quella del nunzio Pio Laghi spesso accusato di vicinanza ai militari?
Dai documenti emerge il suo impegno per salvare tantissime vite e informare con obiettività la Santa Sede su quanto stava accadendo. Non a caso, sia Paolo VI sia Giovanni Paolo II hanno fatto denunciato con forza la tragedia argentina e hanno chiesto maggior fermezza ai vescovi argentini.

Nell’opera viene trattata anche la vicenda anche dei gesuiti Francisco Jalics e Orlando Yorio sequestrati dalla Marina nel maggio 1976 e liberati cinque mesi dopo. Una feroce campagna mediatica, all’inizio degli anni Duemila, ha incolpato della loro detenzione l’allora provinciale Jorge Mario Bergoglio. Che cosa dicono i documenti?
Confermano quanto affermato da numerosi testimoni: Jorge Mario Bergoglio non ha avuto a che fare con la loro cattura, al contrario si è preoccupato di cercarli e farli rilasciare insieme alla nunziatura. C’era una certa tensione tra i due gesuiti e la curia generale e provinciale della Compagnia contrarie al progetto realizzato da questi ultimi nella baraccopoli di Flores. I padri Jalics e Yorio avevano, dunque, chiesto di lasciare. Nel mezzo c’è stata la retata della Marina e sono stati presi, probabilmente volevano informazioni su alcune persone arrestate. L’allora padre Bergoglio, come le carte dimostrano nel primo volume, dice con chiarezza che i due sacerdoti non facevano politica, erano pastori.

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