domenica 14 ottobre 2018
Montini è il vero fondatore del quotidiano dei cattolici, che volle con fermezza e convinzione anche sfidando l’opinione contraria di molti Cinquant’anni dopo, un’avventura da ripercorrere
Paolo VI riceve in udienza le famiglie del personale di Avvenire il 27 novembre 1971 (Archivio fotografico Istituto Paolo VI di Brescia)

Paolo VI riceve in udienza le famiglie del personale di Avvenire il 27 novembre 1971 (Archivio fotografico Istituto Paolo VI di Brescia)

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Nel cinquantesimo anniversario della fondazione del quotidiano cattolico milanese L’Italia, l’allora arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini esortò i cattolici ambrosiani a «formarsi la coscienza giornalistica che a loro si addice » mantenendosi «fedeli» al giornale cattolico, che era diffuso oltre i confini della loro diocesi e della regione lombarda. A esso – scriveva Montini nel novembre del 1962, concludendo le manifestazioni indette per celebrare l’anniversario – spettava il compito di seguire «con particolare interesse le vicende della nostra società in via di trasformazione, con l’intento di educare il nostro popolo al senso di giustizia e di carità e di favorire lo sviluppo economico e sociale, secondo gli insegnamenti della sociologia cristiana» e inoltre proprio il giornale avrebbe dovuto studiare e riflettere «i grandi problemi del nostro tempo» con la passione e la speranza «d’un progressivo ordine civile e cristiano ». Il quotidiano cattolico «è insomma – terminava Montini – un giornale che cerca di affermarsi come testimonianza sincera e moderna d’un cattolicesimo vivo».

L’appassionato interesse per il mondo della stampa e dell’informazione aveva in Giovanni Battista Montini antiche e profonde radici. Paolo VI è stato indubbiamente il Papa che, più di tutti i suoi predecessori, conobbe meglio il mondo del giornalismo, avendolo frequentato e praticato sin da ragazzo. Ricevendo i rappresentati della stampa cattolica italiana dopo la sua elezione, il nuovo Pontefice ricordò il padre Giorgio Montini, «giornalista d’altri tempi, si sa, e giornalista per lunghi anni, direttore d’un modesto, ma ardimentoso quotidiano di provincia», Il Cittadino di Brescia, che nel ruolo della stampa aveva intravisto «una splendida e coraggiosa missione al servizio della verità, della democrazia, del progresso; del bene pubblico in una parola». Montini era fermamente convinto che i mezzi di comunicazione potessero essere ausiliari alla Chiesa nel fondamentale compito di annunciare il Vangelo. «Per una fede come la nostra – diceva nel 1962 ai giornalisti de L’Italia – che ha per primo strumento la comunicazione del pensiero, anzi della verità, questo organo di diffusione della parola di verità, ch’è un giornale cattolico, appare sotto questo aspetto in tutta la sua funzionalità e dignità». Già nel 1950, discutendo con l’amico e filosofo Jean Guitton, Montini si interrogava sulla efficace capacità della Chiesa di saper comunicare al mondo la verità della quale è portatrice: «A cosa serve dire quello che è vero, se gli uomini del nostro tempo non ci capiscono?».

Proprio in quegli anni, tra il 1949 e il 1950, l’allora sostituto Montini presiedette una riunione in Segreteria di Stato, ove si valutò l’eventualità di un “assorbimento” del quotidiano cattolico bolognese L’Avvenire d’Italia da parte de L’Italia, che avrebbe così potuto ampliare la sua area di diffusione nel Nord e nel Centro del Paese. L’idea di un quotidiano cattolico che avesse una più ampia distribuzione riemerse più forte e coraggiosa negli anni in cui Montini era arcivescovo di Milano e seguiva personalmente le vicende de L’Italia dalla cui unificazione con L’Avvenire d’Italia, il 4 dicembre del 1968, sarebbe nato Avvenire. «L’esperienza del mio ministero – disse l’allora arcivescovo di Milano già nel dicembre 1955, a conclusione del suo primo anno di episcopato, ricevendo in udienza tutti i dipendenti de L’Italia – mi fa ora meglio apprezzare l’importanza e l’urgenza di una stampa nostra, sana, forte, efficace, pronta ad affermare con nobiltà e con coraggio i diritti della verità, gli insegnamenti della Chiesa, gli interessi cattolici».

La stampa cattolica italiana, seppur di antica tradizione, restava però ancorata prevalentemente alle singole realtà diocesane o a particolari gruppi religiosi. Diventato Papa, Paolo VI, con molta determinazione, perseguì il suo intento, riuscendo a superare le perplessità della maggior parte dell’episcopato italiano, preoccupato per le ripercussioni finanziarie di una tale impresa. I vescovi italiani, infatti, avevano accolto con riluttanza l’idea di far nascere un quotidiano cattolico nazionale e la accettarono infine solo per obbedire al fermo volere del Papa. Erano emerse molte resistenze al progetto di unificazione dei due quotidiani cattolici, sia a Milano che a Bologna. Una risoluta contrarietà fu manifestata dal card. Giovanni Colombo, che era diventato arcivescovo di Mila- no nel 1963 succedendo proprio a Montini, e che conosceva bene i problemi della stampa cattolica essendo stato presidente dell’Itl, società editrice de L’Italia. A Bologna il card. Giacomo Lercaro difese strenuamente L’Avvenire d’Italia, gravato da un pesante deficit, e si rivolse, con una accorata lettera, direttamente al Papa, che aveva espresso in precedenza alcuni rilievi sull’indirizzo politico-religioso del giornale. Paolo VI impose ai vescovi la sua volontà di dar vita a un quotidiano nazionale dei cattolici italiani dimostrandosi lungimirante e tutt’altro che amletico e incerto.

Papa Montini si rivelò invece molto fermo e determinato nel far nascere e sostenere Avvenire, intraprendendo una iniziativa editoriale di grandissimo spessore che non aveva eguali nel panorama della stampa cattolica europea ed internazionale. Il giornale, realmente e quasi concretamente fondato da Paolo VI, incentivando una maggiore unità nel mondo cattolico, avrebbe potuto rappresentare un vero «strumento di evangelizzazione» la quale, sola, «porta con sé – spiegava il Papa – l’elevazione dell’uomo, ne promuove la dignità, la libertà, la grandezza ». Ad Avvenire non mancò mai la vigile protezione del Papa che seguì il giornale con quotidiana, costante e paterna attenzione, fino alla morte. Egli stesso, durante un’udienza ai giornalisti cattolici, confidò che il primo giornale da lui letto al mattino era Avvenire, mentre, nel 1969, ricevendo il segretario della Conferenza episcopale italiana, monsignor Andrea Pangrazio, Paolo VI affrontò come primo argomento «la situazione del quotidiano cattolico», e ribadì che, nonostante le difficoltà incontrate dall’ancor giovane Avvenire, «la parola d’ordine» era quella di «sostenere il quotidiano cattolico». Il giornale, che doveva avere carattere nazionale, era rimasto nei primi tempi prevalentemente diffuso nel Nord e nel Centro della Penisola, mentre più stentata sembrava la ricezione nel Sud del Paese, ma nell'estate del 1971 i vescovi meridionali, rispondendo agli inviti e alle raccomandazioni di Paolo VI, si riunirono per discutere la realizzazione di un’edizione di Avvenire per il Sud, che venne poi realizzata a partire dalla primavera del 1972 nella sede di Pompei. I vescovi italiani si interrogarono a lungo sulla finalità e sulla natura del quotidiano cattolico mentre per il Papa, che rivide personalmente le Linee pro- grammatiche del quotidiano stabilite dalla Cei, il giornale avrebbe dovuto avere carattere formativo oltre che informativo, «così da fare di Avvenire uno strumento di vera crescita spirituale di tutto il popolo di Dio». «Dobbiamo avere una maggiore coesione fra di noi – era l’accorato e improvvisato appello rivolto dal Papa agli operatori delle comunicazioni sociali nel 1971 –, una maggiore coscienza che noi dobbiamo parlare, parlare insieme ». Il giornalista di Avvenire doveva diventare un «alleato del Papa», secondo un’espressione propria di Paolo VI, in questo difficile compito di evangelizzazione. «Siate apostoli» è l’implorazione di papa Montini ai giornalisti cattolici, ai quali chiedeva di impegnarsi a «dare sempre parole, siano severe, siano facili, siano amichevoli, siano divertenti, siano solenni e profonde, che fanno del bene a chi le accetta». A 50 anni dalla sua fondazione, Avvenire ha risposto con successo a quelle che erano le speranze e le attese del Papa che ne è stato fondatore, ispiratore e, sempre, paternamente protettore.

Nell'articolata vicenda che ha condotto alla nascita di Avvenire sono evidentemente rintracciabili i due prioritari intenti che ispirarono il pensiero e mossero la vita e tutta la lineare e coerente azione pastorale di Giovanni Battista Montini prima e di Paolo VI dopo: il perseguimento della maggiore unità possibile all’interno della Chiesa e tra questa ed i suoi fedeli; e, confortato da tale unità, il necessario, indifferibile, dialogo della Chiesa con la società moderna, per far conoscere al mondo le ragioni profonde della fede in Cristo.

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