domenica 11 giugno 2023
In sessantamila a piedi da Macerata alla Santa Casa. All'alba l'arrivo dei pellegrini dopo una notte di preghiere. Il saluto del cardinale De Donatis
L'arrivo dei pellegrini nella discesa di Montereale, alle porte di Loreto

L'arrivo dei pellegrini nella discesa di Montereale, alle porte di Loreto - Fulvio Fulvi

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È il culmine del pellegrinaggio a Loreto, alle prime luci dell'alba, lungo la discesa di Montereale quando il "serpentone" dei mendicanti della pace si snoda festoso, dietro alla statua della Madonna Nera portata dagli aviatori, prima di entrare nella piazza della basilica per la sua apoteosi di fede. Siamo al cospetto della dimora di Maria poggiata dagli angeli in un giorno perduto nel tempo, su un colle che guarda il mare. "Pieni di forza, di grazia e di gloria", i 60mila - o forse di più - battono le mani al ritmo di un melodico ritornello ripetuto più volte. Ma è una canzone gentile, struggente, perché devota e piena di senso. Commuove chi la canta e chi l'ascolta anche dalle finestre e ai bordi della strada, nell'ultimo sforzo, quello che precede l'approdo. "Sapete voi che c'è nel mondo una gran Casa?". Cantano alzando le braccia al cielo in segno di giubilo, la meta è raggiunta dopo un cammino di 30 chilometri nella notte, attraverso campagne e colline sinuose, illuminate da fiaccole e dai volti radiosi e stanchi dei coraggiosi camminatori della fede, partiti la sera prima dallo stadio di Macerata. I folli di Dio del XXI secolo. Giovani, ma non solo. "Nessuno si può lasciare indietro" s'era raccomandato cammin facendo monsignor Giancarlo Vecerrica, 83 anni portati come un ragazzino, l'artefice del gesto mariano e da 45 anni sempre alla guida delle preghiere e delle meditazioni, una sorta di gran cerimoniere di un gesto comunitario che si celebra ogni notte tra sabato e domenica nella seconda settimana di giugno. Sempre uguale e puntuale ma sempre diverso, vivo come il Gesù Risorto che prende per mano i pellegrini, uno per uno e li sostiene, nel nome della Madre Celeste. E se qualcuno non ce la fa, qualcun altro lo aspetta, lo aiuta, lo sorregge nell'inciampo o nel passo incerto. Una comunione di "anime" e una voce sola nei canti e nelle preghiere. Con il passaggio davanti all'abazia millenaria di San Firmano, i misteri gloriosi e i flambeax che si accendono per illuminare il blu scuso della notte. Non piove nonostante le avvisaglie della vigilia e le poche gocce che hanno bagnato i primi passi si sono presto asciugate. Le stelle fanno la loro parte spegnendosi ai primi albori e cedendo il cielo alle nuvole leggere e bianche che avvolgono la cupola del Bramante come una corona. Uno spettacolo. Una gioia immensa che si sprigiona dai volti stanchi. Un'impresa che sembrava impossibile: il maltempo che fino alla vigilia aveva colpito la zona del Maceratese, le nostre fragilità messe a nudo dalla fatica, le salite dell'ultimo tratto, i piedi che fanno male dopo nove ore di cammino, gli occhi che bruciano per il sonno. Ma nulla è impossibile se i affidiamo a Dio. Neanche la pace. Perché, come ha sottolineato il cardinale Angelo De Donatis nel suo saluto ai pellegrini, sul sagrato della basilica, "Anche nella casa di Loreto è stato pronunciato il nome di Maria. Lei ha risposto, ha detto di sì e Dio si è fatto piccolo. E da piccolo, in noi piccoli, riprende la strada con noi e in noi, perché non smettiamo di sognare in grande e di compiere opere grandi".

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