L’attesa guardando un comignolo, una bellezza fuori dal mondo
Abbiamo aspettato il nuovo Papa, Leone XIV, guardando in alto. Un gesto dimenticato, assuefatti all’istantaneità della notizia e affamati di notifiche e aggiornamenti. Una forma di preghiera

Sono trascorsi solo dodici anni dalla precedente elezione del Papa, ma per come il mondo va di fretta un lasso di tempo così breve ci pare un’era. L’ultima volta l’attesa, per chi se la ricorda, e per chi può permettersi un paragone quale spettatore di più conclavi, non è stata molto diversa da quelle del passato: si attende di conoscere un nome, un volto, la direzione che la Chiesa illuminata dallo Spirito Santo andrà a tracciare, continuando a camminare nel mondo, ma anche per forza di cose un po’ fuori dal mondo. Ecco, appunto, l’attesa di oggi si è arricchita di una sfumatura nuova nella sensazione di un qualcosa più “fuori dal mondo” del solito. Perché è passata solo una dozzina d’anni, ma sembra un secolo ad ascoltare il rumore di fondo del nostro presente.
Ma quanto tempo ci mettono i cardinali a giurare uno per uno? Ma quanto tempo serve per votare? Ma sono veramente chiusi nella Sistina e non possono comunicare con l’esterno? Nemmeno un messaggio WhatsApp per dire com’è andata? Uno solo, per dire cosa succede, in fondo basta un cellulare… Qualcuno sui social, tra meme di ogni genere, si è divertito persino a suggerire un QrCode da inquadrare, per essere messi in contatto istantaneamente con gli esiti (anche parziali) del voto.
E invece no. L’attesa è un comignolo silenzioso, e tutti sappiamo che prima o poi farà salire del fumo bianco. Quando? Quando sarà il momento. È un passo che fatichiamo a riprendere, assuefatti all’istantaneità della notizia e affamati di notifiche e aggiornamenti digitali. Non è questione di Bibbia e di un Dio che si manifesta attraverso il fuoco e il fumo, è più che altro la disabitudine a un’attesa fisica, fatta di un tempo che non è il nostro e di elementi che intercettano i sensi e i corpi.
Anche smartphone alla mano, per il selfie dell’anno, del decennio o del secolo, il mondo deve guardare in alto, mentre aspetta una fumata bianca. È una postura naturale che ci appartiene da sempre, eppure oggi va in controtendenza. Non è passato molto tempo dall’ultima volta, ma nel frattempo gli occhi hanno preso l’abitudine di guardare verso l’ombelico, nella direzione di uno schermo illuminato, e la cervicale umana, suo malgrado, ne ha preso atto. Così c’è questa attesa inusuale, che nel cercare la luce fa rialzare la testa verso il cielo, fissando un camino.
Semplicemente un dettaglio, niente di fronte all’evento del nuovo Papa della Chiesa Cattolica, nel momento in cui anche chi non ha un briciolo di fede può avvertire il bisogno di confrontarsi con un “leader” globale e universale il cui “mandato” – diciamo così, assecondando il mondo - non è dividere ma unire, non è perseguire un interesse, ma semplicemente amare (e far amare) il prossimo. Costruire ponti.
Seguire il Vangelo è anche un’attesa guardando un comignolo? Un atomo di preghiera? C’entra il non avere fretta, ma fiducia, speranza, come suggerisce il Giubileo indetto da Francesco. Come il bambino che chiede: «Papà, quanto manca?». E la risposta è lì davanti, in alto, e a volte, sulla vetta della montagna, c’è una croce.
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