Il seme gettato innanzi aprirà un tempo di più larga maturità

Perché bisogna guardare alla storia
February 19, 2021
Il seme gettato innanzi aprirà un tempo di più larga maturità
Caro direttore,
diversi, recenti articoli di questo e di altri giornali (cartacei e digitali) tornano sulla vicenda della comunità di Bose, in modo appassionato. Credo che sia il momento di chiedere alla storia i sussidi che il tempo presente non offre.
Occorre pensare che i grandi movimenti radicali nella Chiesa hanno avuto un séguito immediato assai tumultuoso: basti richiamarci al primo secolo dei francescani: spirituali, conventuali, fraticelli; un tal fiorire di Vite di Francesco che dopo neanche due generazioni san Bonaventura ebbe a doverle ricondurre a una sorta di "vulgata" compendiata nella Legenda maior e nella Legenda minor di san Francesco. La pluralità, se anche deriva in più rivoli, è un segno indubbio di fecondità.
La comunità di Bose ha nel tempo interpretato, con fedele larghezza, il significato di "apostolo": inviato; sono nate le fraternità di Ostuni, Cellole di San Gimignano, Assisi, Civitella; in questo continuando quella larga diaspora che è il segno primo delle origini cristiane: da Gerusalemme a Corinto, a Antiochia, a Efeso, a Roma.
Si tratta ora di assumere la prova come una nuova, profetica, missione: un rinnovato, plurale, generoso, invio di esodo e promessa, che non riguardi uno opposto agli altri, ma tutti, tutti inviati. Il numero degli apostoli fu dodici, memoria simbolica delle tribù di Israele; ma fu anche numero di grande saggezza: quando una comunità diventa troppo numerosa, il numero non è forza ma debolezza: le regole e le discipline crescono, le necessità per "far funzionare" si moltiplicano, le gerarchie inevitabilmente si formano.
La crisalide protegge, ma se non si rompe la farfalla non alzerà mai le ali; forse il tempo è venuto, anche per Bose, di una maturità più larga: nel seguire, ancor più decisamente, quello che ha già prodotto nel tempo, una nuova diaspora là ubi vult spirat. Il seme è sempre "gettato innanzi", diceva Johann Peter Hebel. La "serra di Ivrea" è pur sempre una serra: e "disserrare", come dice Dante, è uno sprigionarsi abbagliante: «Come foco di nube si diserra» (Par., XXIII, 40).

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