giovedì 29 luglio 2021
Il dialogo prosegue con paziente tenacia per migliorare la vita dei cattolici in Cina e garantire la comunione con il successore di Pietro. La polizia però ha arrestato e torturato padre Giuseppe Liu
Cattolici cinesi partecipano alla Messa

Cattolici cinesi partecipano alla Messa - Ansa/Epa

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A Pingliang, in Cina, ieri la Chiesa cattolica ha fatto festa: nella Cattedrale di Pingliang, provincia cinese di Gansu, è stato consacrato il nuovo vescovo coadiutore. È Antonio Li Hui - nato nel 1972 nella contea di Mei, provincia di Shaanxi -, sacerdote dal 1996, laureato all’Università Renmin di Pechino e molto attivo nell’aiuto ai poveri. Durante l’ordinazione è stata data pubblicamente notizia dell’approvazione papale. Lo ha confermato ufficialmente la Santa Sede, attraverso il direttore della Sala Stampa vaticana Matteo Bruni, ricordando che si tratta della quinta nomina nell’ambito dell’Accordo provvisorio siglato nel 2018: è anche questo un bel segno.

Si tratta di un’ordinazione di particolare interesse anche perché è interamente frutto dell’intesa sino-vaticana firmata nel 2018 e rinnovata lo scorso anno. L’Accordo, dunque, funziona e dà buoni risultati, malgrado qualcuno lo dia periodicamente per morto o almeno per moribondo. È successo anche pochi mesi fa, quando sono state approvati nuovi regolamenti per le attività religiose che non citavano l’intesa tra Santa Sede e Cina. Ma è normale - e positivo - che regolamenti interni non interferiscano con accordi internazionali, come ha chiarito Avvenire.


A ricevere ieri la consacrazione episcopale nella Cattedrale di Pingliang è stato Antonio Li Hui, che sarà il coadiutore della diocesi.

Com’è ovvio, non tutti i problemi sono risolti dall’Accordo e del resto lo aveva già previsto il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, al momento della firma. In questo caso a far problema sono i tempi lunghi: il vescovo Li Hui è stato eletto circa un anno fa e la sua ordinazione sarebbe potuta avvenire prima, con grande beneficio della diocesi e dei fedeli. Oltre ai ritardi causati dalla pandemia di Covid-19, continuano a pesare la complessità dei passaggi amministrativi interni tra autorità centrali, provinciali e locali per decidere qualunque passaggio.

Vale anche per Wuhan, per cui si parla da tempo dell’ordinazione di un nuovo vescovo. Qui - come pure altrove - a rallentare l’ordinazione è il problema dei confini molto antichi delle diocesi cinesi, fissati nel lontano 1946. Laddove c’erano tre diocesi che comprendevano anche larghe aree rurali, oggi c’è una megalopoli - divenuta famosa in tutto il mondo - con diversi milioni di abitanti. Ragioni civili e pastorali insieme spingono per tale unificazione.

Si tratta di problemi che la Chiesa cattolica si trova ad affrontare quotidianamente ovunque: non è difficile superarli, ma richiedono un dialogo paziente e laborioso tra tutte le parti interessate. Oggi uno dei motivi per cui i problemi della Chiesa in Cina implicano tanto tempo per essere risolti è che ci vorrebbe più dialogo. Più occasioni, momenti, livelli di dialogo. Non meno, come vorrebbero gli avversari dell’Accordo. Molti si stupiscono che papa Francesco e la Santa Sede cerchino il dialogo con le autorità cinesi, ma è evidente la sua necessità per migliorare la vita dei cattolici in Cina (e di tutto il popolo di questo grande Paese, che il Pontefice ha sempre presente, come mostra la sua preghiera per le vittime delle terribili alluvioni dei giorni scorsi).

Non si deve però credere che la scelta del dialogo sia la più facile e la più conveniente. Lo mostra anche la parabola del vescovo di Kunming, Ma Yinglin, celebrante principale dell’ordinazione di Li Hui. Ordinato illegittimamente non per sua scelta, ha assunto la carica di presidente della Conferenza dei vescovi (non riconosciuta da Roma) nel momento più difficile dei rapporti fra la Santa Sede e il governo cinese. Nel 2010 ci fu infatti davvero una rottura inattesa nel dialogo tra le due parti e l’Accordo - di fatto già raggiunto - venne lasciato cadere.

Seguirono conflitti sempre più aspri, la ripresa delle ordinazioni illegittime e scomuniche mai pronunciate in precedenza. Ma Yinglin si è trovato al centro dello scontro, con attacchi dalle diverse parti. Ma non si è perso d’animo e ha operato pazientemente e silenziosamente per riavvicinare la Chiesa in Cina al Papa e alla Santa Sede. Si deve anche all’opera discreta di quest’uomo di fede e di grande simpatia umana - dal 2018 in piena comunione con il Papa - se oggi non ha più senso parlare di una Chiesa cattolica in Cina "indipendente" da Roma.

Da sapere / Il patto siglato nel 2018

L’Accordo Provvisorio tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese, riguardante la nomina dei vescovi, è stato firmato a Pechino il 22 settembre 2018. Entrato in vigore un mese dopo, con la durata di due anni ad experimentum, l’Accordo è stato prorogato di altri due anni, fino al 22 ottobre 2022. Una decisione concordata tra le parti e confermata da uno scambio ufficiale di Note Verbali in prossimità della scadenza al termine del primo biennio, nell’ottobre 2020.

Ma le difficoltà persistono: arrestato e torturato sacerdote​

La polizia cinese ha arrestato padre Giuseppe Liu, della diocesi di Mindong (Fujian). È stato trattenuto dagli agenti per il suo rifiuto di aderire alla Chiesa indipendente, fa sapere AsiaNews. Secondo fonti dell’agenzia che ha diffuso la notizia, a causa delle sue resistenze ha subito terribili violenze: «Dopo dieci ore di torture, sei poliziotti lo hanno preso per mano e lo hanno costretto a firmare. Anche quest’anno le persecuzioni contro i religiosi cattolici non si arrestano». «Il fermo di padre Liu – spiega Asia News – dimostra che l’accordo fra Vaticano e Cina sulla nomina dei vescovi non ha cambiato le dinamiche passate, con il Partito che continua a controllare in modo ferreo le attività del personale religioso».




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