lunedì 12 giugno 2023
Il grande venditore: moltiplicando il tempo che gli italiani (i consumatori) trascorrono davanti al teleschermo, può “vendere” quel tempo agli inserzionisti pubblicitari
Berlusconi, le tv commerciali anni Ottanta e l'appiattimento (verso il basso)

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Secondo i dati Auditel 1999, gli italiani “adulti” – sopra gli 11 anni – trascorrevano davanti al televisore una media di 225 minuti al giorno, poco meno di 4 ore. Stare davanti al televisore era la terza attività della nostra vita, dopo lavorare e dormire. E negli ultimi 20 anni la neo-tv commerciale aveva dato spazio a 2000 imprese, quando la Rai di Carosello era riuscita appena ad accoglierne 500.

Questi due dati racchiudono il senso di ciò che sono state le tv di Silvio Berlusconi nel ventennio d’oro, gli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, quando niente è stato più come prima. E spiega la genialità dell’imprenditore che, primo e forse unico, intuì quello che la televisione – la tv del colore, la tv commerciale – poteva essere in Italia, muovendosi con rapidità e spregiudicatezza.

In estrema sintesi, Berlusconi è un grande venditore: moltiplicando il tempo che gli italiani (i consumatori) trascorrono davanti al teleschermo, può “vendere” quel tempo agli inserzionisti pubblicitari che fanno la fila per poterlo acquistare, perché sanno bene che quel tempo rende. Per tenere gli italiani incollati davanti al teleschermo, deve dare loro intrattenimento su misura per famiglie (Canale 5), anziani e bambini (Rete 4) e giovani (Italia 1). E ci riesce magnificamente.

L’impegno nell’emittenza televisiva precede quello nel calcio, altra forma di intrattenimento di massa, e nella politica, che peraltro paragrafa gli stessi schemi: si tratta sempre di “piazzare un prodotto”. Senza la tv, probabilmente non ci sarebbero stati né il Milan né Forza Italia. Tutto comincia da lì, nell’occupazione tempestiva di un gigantesco spazio vuoto dove altri si erano avventurati, ma senza fortuna. Berlusconi sa però che la sua intraprendenza e la sua intuizione non sono sufficienti. Occorrono i favori delle banche e della politica. E grazie al sodalizio con Bettino Craxi li ottiene. Il Decreto Berlusconi del 1984 gli consente di trasmettere su tutto il territorio nazionale e la Legge Mammì del primo agosto 1990 certifica lo statu quo: una legge controversa, che provocò l’uscita dal governo di cinque ministri della sinistra democristiana.

È alle sue televisioni che Berlusconi deve buona parte della propria popolarità, ben prima della presidenza del Milan che condurrà in cima all’Europa e al mondo. Nel Milan comprò i giocatori più forti in circolazione, a cominciare dagli olandesi delle meraviglie. In Fininvest – poi Mediaset – ingaggiò i professionisti più capaci della televisione, prelevandoli dalla Rai, Mike Bongiorno in testa. Non c’è un vero strappo rispetto alla Rai, tanto è vero che già negli anni Novanta i programma Rai e Mediaset si assomigliano in modo speculare. La vera novità, capace di incidere profondamente sui modelli di pensiero e gli stili di vita degli italiani, è un’altra, così descritta da Aldo Grasso: «La Rai faceva una televisione dai tempi lunghi, rallentati, sospesi, spesso noiosi. La televisione commerciale ha un andamento ischemico, strillante, incurante dei nessi. Le inaspettate ed esecrate interruzioni pubblicitarie (…) creano un nuovo ritmo di visione. Lentamente, giorno dopo giorno, lo spettatore impara a guardare la televisione, e insieme la realtà, con un occhio diverso: tutto è frantumato, tutto è “corto”, tutto è facilmente dimenticabile».

Era l’unico modo possibile di fare televisione commerciale? Difficile dirlo. La sensazione è che Berlusconi, cogliendo la magnifica occasione di imporsi come grande imprenditore dell’intrattenimento di massa, ne abbia persa un’altra: fare nella neo-tv una forma di intrattenimento anche di profilo alto, destinando almeno una rete a un pubblico capace di apprezzare la qualità. Una neo-tv che, per i bambini, non si limitasse ad acquistare cartoni giapponesi, ma producesse contenuti originali, facendo evolvere – grazie ai superiori mezzi economici – la Tv dei ragazzi della Rai dei tempi d’oro. Purtroppo ha intrapreso la via più sbrigativa per raccogliere spettatori e quindi “tempo” da vendere agli inserzionisti: un graduale appiattimento verso il basso, risucchiando sciaguratamente una Rai incapace di sfuggire alla stessa logica.

Il nuovo secolo ha rimescolato le carte in modo definitivo. Nulla è più come prima. I soggetti sul mercato televisivo si sono moltiplicati, il pubblico si è specializzato, lo stesso televisore è smart, ossia supporto per molti altri usi. Non è più il tempo della neo-tv; e non è più il tempo del suo profeta, Silvio Berlusconi.

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