Vaia: «Sul West Nile nessun allarme. Pandemie, che errore isolarci»
Sette i morti. In 31 province stop alla donazione di sangue. L'ex direttore dello Spallanzani, Vaia: «In pochi a rischio». La proposta al Governo: «In Italia una sede del Centro europeo malatt

Continua a salire il bilancio delle vittime per il virus West Nile in Italia. Dall'inizio dell'anno si contano sette decessi, la maggioranza tra Lazio e Campania. Sono scattate ulteriori bonifiche sul territorio così come alcune misure di prevenzione rispetto alle donazioni di sangue, possibile, sia pur rara, via di contagio. In 31 province è stato deciso lo stop temporaneo alle donazioni o, in alternativa, l'esecuzione di un test sui donatori. Due le vittime registrate nelle ultime ore in Campania: un uomo di 74 anni, con un quadro clinico aggravato da un'insufficienza renale, deceduto in realtà venerdì scorso all'Ospedale del Mare di Napoli, ma la notizia si è appresa da poco. L'altro paziente morto è un 68enne di Trentola Ducenta, nel Casertano, deceduto lunedì al presidio ospedaliero di Aversa (Caserta). Un altro paziente è morto nel Lazio, il terzo da inizio anno: è un uomo di 86 anni, che era ricoverato a Latina. Sarebbe stato affetto da diverse patologie pregresse. L'Istituto superiore di sanità conferma che l'andamento dei casi è comunque in linea con gli anni precedenti.
Per Francesco Vaia, già direttore generale dell’Irccs Nazionale Malattie Infettive “Lazzaro Spallanzani” di Roma, e direttore per la Prevenzione del ministero della Salute, «non esiste nessun allarme. Ma, visti i decessi, dobbiamo affrontare il problema in modo serio e responsabile, con risposte che richiedono alta e qualificata professionalità. In caso contrario il nostro Paese, che si è ben comportato durante la pandemia, rischierebbe delle sottovalutazioni, che non portano mai buone notizie. Perché il vero problema è questo».
Professore, dopo quello che abbiamo passato negli anni scorsi, questa sembra essere descritta in realtà come un’infezione di serie B…
Facciamo chiarezza. È un’infezione che si ripresenta dal 1998, e che si trasmette dalle zanzare. Si presenta di solito con una sintomatologia lieve, alcuni dolori e poca febbre, che scompaiono spontaneamente. Ma, in alcuni casi, per grandi anziani, persone con patologie concomitanti, immunodepressi, i rischi ci sono. In quel caso, o quando la febbre è alta e implica problemi neurologici, il decorso deve essere seguito dallo specialista.
Lei parlava del rischio sottovalutazione. Come si evita?
Con l’unico modo possibile, che è anche garanzia di efficacia: la prevenzione.
E come si affronta una corretta prevenzione?
Da un lato c’è quella che ognuno di noi può mettere in campo, proteggendosi dalle zanzare. Ci sono aree del nostro Paese molto più infestate di altre. Il nostro bersaglio sono le zanzare non il virus. Ma bisogna preoccuparsene a tempo debito.
Questo non è il tempo debito?
No, le azioni larvicide vanno fatte prima che arrivi l’estate. Non ora. E non possiamo ricordarcene solo quando ci sono dei morti. Guardando all’infezione di questi giorni, per esempio, c’è bisogno di mettere in campo una sorveglianza predittiva integrata, che significa raccogliere dati climatici, sanitari, entomologici, e poi avvalersi dell’Intelligenza artificiale per aggregarli e sviluppare scale di rischio. Il virus West Nile non preoccupa più di tanto, è vero, ma ricordiamoci che non è l’unico che circola, e che dobbiamo essere pronti a eventuali nuove pandemie. O vogliamo rimettere mano ai “bollettini di guerra” e tornare a contare i decessi quotidiani? Per evitarlo si deve lavorare a livello globale, ed evitare di isolarsi.

Eppure, l’Italia, dopo l'astensione dal Trattato pandemico globale del 2024, ha respinto, con altri 10 Paesi (124 hanno invece votato a favore) gli emendamenti al Regolamento sanitario dell’Oms per la gestione comune delle nuove pandemie. Come noi, gli Usa (che vogliono addirittura uscire dall’Oms), l’Iran, Israele, la Russia… Ma come è stato possibile?
Per quanto riguarda la mancata adesione al Trattato, la stragrande maggioranza della comunità scientifica riconosce che sia stato un errore al quale si può e si deve porre rimedio. Dobbiamo collaborare con il mondo per fronteggiare le grandi emergenze sanitarie. Nel corso della pandemia possono anche esserci stati degli sbagli a livello internazionale, ma non possiamo fare l’errore di confondere le degenerazioni di un sistema con il sistema stesso, o le degenerazioni di una istituzione con l’istituzione stessa. Se qualcuno ha lucrato sui vaccini, per esempio, non significa certo che i vaccini non siano efficaci. Se l’Oms non sempre si è mostrata all’altezza, non significa che andrebbe sciolta. Anzi, io lavorerei per trasformare certe criticità in una grande occasione per il Paese.
Che cosa intende?
Lancio da Avvenire una proposta al Governo: che l’Italia si candidi a ospitare una sede tematica dell’Ecdc (il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, agenzia indipendente dell’Ue, ndr) dedicata alle arbovirosi (malattie infettive trasmesse da zanzare, zecche o altri artropodi, ndr), con un ruolo strategico nel monitoraggio del Mediterraneo e del Nord Africa, in raccordo operativo con Oms ed enti nazionali. Oggi manca un centro del genere e l’Italia ha le competenze per guidarlo.
Nella pandemia ci sono state approssimazione e impreparazione?
Credo di sì. Ma diciamo anche che la portata e la velocità dell’evento hanno favorito entrambe. Però voglio guardare al futuro. Possiamo giocare un ruolo di primo piano nell’ambito delle malattie infettive. Con strumenti e finanziamenti adeguati l’Italia potrà essere protagonista.
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