Tra i braccianti nell'Agro Pontino, sui campi dall'alba a 5 euro all'ora

A Latina la campagna Flai Cgil per denunciare lo sfruttamento. «C’è chi fa turni di 10-12 ore al giorno». E ci sono i truffati del decreto flussi. Il dramma di un 27enne indiano trovato senza vita
July 25, 2025
Tra i braccianti nell'Agro Pontino, sui campi dall'alba a 5 euro all'ora
. | Alle prime luci dell’alba sulla statale Pontina, a Latina, sindacalisti della Flai Cgil e volontari di varie associazioni distribuiscono bottigliette d’acqua, cappelli, gliet catarifrangenti e volantini informativi agli immigrati diretti nei campi agricoli della zona
Ore 4.30 del mattino, chilometro 88,500 della statale 148 Pontina che da Roma attraversa tutta la provincia di Latina. È ancora buio ma il traffico è già intenso e tra auto e tir compaiono le luci di tante biciclette. Sono i braccianti indiani sikh che dalla vicina Borgo Hermada, uno dei luoghi a maggiore presenza di questi immigrati, si portano verso le aziende agricole della zona. Sono loro che aspettano gli operatori della Flai Cgil e i volontari di varie associazioni che si occupano di immigrati. È una delle tappe della Campagna nazionale “Diritti in campo con le brigate del lavoro” promossa in queste settimane per avvicinare i braccianti, ascoltare le loro storie, fornirli di materiali per la loro sicurezza. Noi ci siamo aggregati alla “Brigata” che sta operando nei territori della provincia di Latina.
Tre gruppi di 8-10 persone, portano bottigliette di acqua, cappelli di paglia, gilet catarifrangenti e volantini informativi e che invitano a rivolgersi ai centri del sindacato. Ci mettiamo sul margine della strada, ben visibili (anche noi coi gilet) e disponibili. Ed eccoli arrivare, giovani, anziani con lunghe barbe grigie, molti col tradizionale turbante, solo due donne, una giovane, un’altra di mezza età. Fanno anche più di quaranta chilometri al giorno tra andata e ritorno. Parecchi hanno bici elettriche. Non è una scelta ambientalista, ma perché costano meno di uno scooter, non richiedono assicurazione e per guidarli non servono documenti. Proprio quelli che gran parte di loro non hanno. Ma ogni alba sono sui campi. Anche se i rischi sono tanti. «Gli investimenti sono in aumento (gli ultimi mortali il 21 giugno, il 6 e il 18 luglio, ndr), dovrebbero essere considerati incidenti sul lavoro in itinere, come per i lavoratori italiani ma per loro non si riesce ad avere questo riconoscimento», denuncia Antonio Del Brocco, segretario Flai Roma e Lazio. Restano dei “fantasmi”. Eppure sono reali. In due ore si fermano più di 150. I sindacalisti conoscono qualche parola di Punjabi, la lingua dei sikh. “Sat Sri Akal” (ciao). “Pani” (acqua). “Topi” (cappello). «Stiamo pulendo i campi dopo la raccolta dei cocomeri», spiega un bracciante. «Sto raccogliendo zucchine in serra, ma solo per tre ore perché fa caldo» dice un altro.
Formalmente viene rispettata l’ordinanza regionale che prevede la pausa nelle ore più calde. Ma c’è ancora chi ne approfitta. «La pausa comincia alle 12 ma se iniziano a lavorare alle 5 a quell’ora hanno consumato le 6 ore e 50 previste dal contratto - ci spiega Alessandra Valentini, segretaria Flai Roma e Lazio -. Nel pomeriggio dovrebbe intervenire una seconda squadra e invece restano quelli della mattina che così arrivano a lavorare anche 10-12 ore. Ovviamente in nero». Ma c’è anche chi continua a far lavorare nelle ore calde, lontano dalla vista, per evitare i controlli. «Anche per questo stiamo programmando di fare degli interventi dentro le aziende anche se non è facile – ci dice Stefano Morea, segretario Generale Flai Roma e Lazio -. Quando facciamo attività davanti alle aziende arrivano italiani, dicono che siamo in una proprietà privata. Allora ci spostiamo per non mettere in difficoltà i braccianti, che non si fermerebbero più a parlare con noi».
Altri volontari con i braccianti - .
Altri volontari con i braccianti - .
Ora sulla strada, dai braccianti non si riesce a sapere molto di più, hanno fretta di raggiungere il luogo di lavoro. Ma non ci sono solo quelli in bicicletta. Notiamo un pullmino bianco che passa 5 volte stracarico. È un caporale addetto al trasporto, quasi sicuramente viene da Terracina dove ci sono alcuni punti di raccolta. Passa e ripassa. L’ultima volta, con incredibile faccia tosta, si ferma con la scusa che i braccianti a bordo vogliono anche loro acqua e cappello. Non si possono negare ma questo fa ben capire la situazione. E tanto di più si capisce nel pomeriggio, a Borgo Hermada, dove operatori e volontari riescono ad avvicinare addirittura 500 lavoratori. C’è chi fa vedere il permesso di soggiorno per motivi di lavoro scaduto e che tardano a rinnovare, così è irregolare e in nero. Poi ci sono tantissimi truffati dal sistema dei decreti flussi, pagano il nullaosta a fantomatici intermediari, “il negozio” lo chiamano, ma poi non trovano l’azienda che doveva assumerli e, anche loro, diventano irregolari e, ovviamente, per lavorare devono accettare il nero.
Raccontano che vengono pagati 5 euro l’ora, per 10-12 ore, ma solo per un paio di settimane, poi nulla. Ma se protestano perdono il lavoro e così continuano a lavorare, sperando che il “padrone” poi qualcosa paghi. Ma non tutti tacciono. «Sono aumentati i braccianti che vengono da noi per denunciare lo sfruttamento ma non sempre è possibile trasformare queste denunce in denunce penali» ci spiegano i sindacalisti. Ma proprio recentemente ben 22 che hanno avuto il coraggio di denunciare, hanno ottenuto il permesso di soggiorno per motivi di giustizia. Ma alcune volte le vittime corrono il rischio di essere colpevolizzate. Arriva una telefonata a Laura Hardeep Kaur, la giovane indiana segretaria generale Flai Frosinone Latina. Sono alcuni braccianti che lavorano in un’azienda dove è in corso un controllo. Viene accertato lo sfruttamento ma anche che sono senza permesso di soggiorno. E questo sembra prevalere. «Ci portano a Roma», dicono al telefono. Ora si cercherà di capire. Ma i drammi non finiscono. A fine giornata arriva la notizia del ritrovamento nei campi vicino alla stazione di Fondi del corpo di un bracciante indiano. Si chiamava Gundeep Singh e aveva appena 27 anni. La magistratura ordina l’autopsia, ma è sicuramente è l’ennesima morte di una condizione di vita e di lavoro inaccettabile.

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