“Squid Game”, la serie violenta diventa un reality. Anche per bambini

Lo show su Netflix, ispirato alla gara all’ultimo sangue della serie finita sotto accusa nel 2021, viene considerato adatto dai 7 anni. Fondazione Carolina: «Folle permettere ai piccoli di guardar
November 23, 2023
Il montepremi ammonta a 4,56 milioni di dollari – il più alto mai messo in palio in un reality show – e i concorrenti sono 456. Una macabra cabala ispirata al numero dei partecipanti alla serie tv Squid Game, cui Netflix s’è ispirata per un’operazione che ambisce a diventare il nuovo fenomeno tv per quest’inverno: trasformare il gioco (il cui obiettivo è vincere prevaricando gli altri fino ad ucciderli) in realtà, anche se nessuno alla fine muore davvero. In barba, però, a ogni forma di tutela dell’infanzia, visto che il programma è stato classificato come accessibile dai 7 anni in su. Per intendersi, adatto ai bambini dalla seconda elementare.
Peccato che la serie, già nel 2021, avesse sollevato l’indignazione e la protesta delle associazioni impegnate sul fronte dei diritti dei minori: si scoprì – ciò che a dire il vero era piuttosto prevedibile – che, nonostante la visione della serie fosse vietata sotto i 14 anni, spezzoni e trailer delle puntate più cruente circolavano su YouTube e tra le chat dei più piccoli. Col risultato che a scuola e ai giardinetti i bimbi avevano iniziato a mimare le gare previste dal gioco: Uno due tre stella (a chi si muove si spara, quindi si può dare un calcio o un pugno), tiro alla fune (la squadra che perde muore, quindi può essere insultata ed esclusa) e via dicendo. Ne nacque un putiferio, gli insegnanti corsero ai ripari affrontando in classe il tema della differenza tra la finzione e la realtà e l’importanza della cultura del rispetto dell’altro, non della violenza. «Ecco perché nella settimana della Giornata dei diritti dell’Infanzia e del terribile femminicidio di Giulia, in cui abbiamo invocato un ritorno all’educazione alle relazioni, siamo pieni di rabbia e di delusione» spiega Ivano Zoppi di Fondazione Carolina.
La onlus ispirata a Carolina Picchio, prima vittima riconosciuta di violenza online, lavora ogni giorno proprio sulla frontiera del disagio tra gli adolescenti: «Che sempre più spesso nasce dall’incapacità di trovare punti di riferimento e contenuti di senso sull’orizzonte che li circonda. Non è un caso se, da una recente sondaggio che abbiamo effettuato, il 60% dei ragazzi tra gli 11 e i 17 anni dice di rimpiangere il lockdown: 7 su 10 si sentono in ansia, la metà denuncia la mancanza di adulti in grado di prendersi cura di loro, il 47% non saprebbe a chi rivolgersi in caso di urgenza. Ora, davanti a questa ennesima beffa, siamo sicuri che le responsabilità siano solo dei nostri figli? Oppure è il mondo adulto che ha spezzato quella catena di valori e regole condivise che lega il susseguirsi delle generazioni?».
Il mondo fotografato dal reality di Netflix Squid Game: la sfida, infatti, è un inferno: i concorrenti – di nazionalità differenti (c’è anche un italiano, tal Lorenzo Nobilio, che si autodefinisce un «maestro manipolatore») – non hanno nomi, ma numeri, sono rinchiusi in un dormitorio e vigilati da guardie minacciose, hanno il cibo razionato, si alleano gli uni contro gli altri nella logica del bullismo e della prevaricazione del più debole, quando muoiono recitano la loro morte, con tanto di schizzi d’inchiostro a simulare i colpi andati a buon fine: «Un gioco al massacro che, se a un adulto può sembrare semplicemente sconfortante, ha invece effetti devastanti per la mente di un bambino – continua Zoppi – che non sa distinguere realtà o finzione, tanto più a fronte di un contesto narrativo iper realistico, che suggestiona per primi gli stessi giocatori». Unica regola della relazione con l’altro: la sopraffazione.
Alla richiesta di spiegare la scelta di non tutelare i più piccoli, posta a Netflix da Avvenire, il colosso ha deciso di non rispondere. Ora non resta che sperare nell’intervento di qualche organo deputato, almeno per omologare la classificazione della visione per età a quella della serie tv: «A cominciare dall’Agcom – proseguono da Fondazione Carolina – che per altro ha appena annunciato nuove misure in relazione ai parental control, con il blocco automatico di certi contenuti ai minori». Il richiamo vero, però, è a tutta la comunità educante «perché si torni alla tutela dell’infanzia in chiave culturale e sistemica. Questi segnali ci scoraggiano. L’onda emotiva su cui nascono decisioni e decreti non serve a cambiare le cose. È il momento di scegliere, tutti, se accettare questa follia o dire basta».
Fondazione Carolina, nel 2021, ha messo a disposizione una scheda educativa per famiglie, educatori e insegnanti. Uno strumento apprezzato dai genitori e dalle scuole e che oggi può tornare utile. Qui il link per scaricarla.

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