Perché con la cittadinanza i lavoratori stranieri sarebbero più forti

Parlano i patronati. Calvetto (Ipsia Acli): si ridurrebbe lo sfruttamento; Lucci (Mcl): differenze legate a vari fattori. Petteni (Inas Cisl): occorre puntare sulla contrattazione
June 5, 2025
Perché con la cittadinanza i lavoratori stranieri sarebbero più forti
IMAGOECONOMICA |
Il referendum sulla cittadinanza rappresenta una sfida importante per riportare al centro il tema del lavoro dignitoso e del riconoscimento dei diritti agli stranieri. Ma davvero diventare cittadini italiani può migliorare la situazione dei lavoratori comunitari ed extracomunitari? Tra l’altro i cittadini stranieri e i nuovi cittadini italiani sono l'unico segmento in crescita della popolazione. All’inizio del 2025 i cittadini stranieri residenti erano 5,4 milioni (+3,2% sul 2024), pari al 9,2% della popolazione. Quelli che hanno acquisito la cittadinanza italiana nel corso del 2024 sono stati 217mila, in crescita rispetto all'anno precedente (214mila).
«Oggi ci troviamo davanti a cittadini di fatto senza cittadinanza – spiega Marco Calvetto, presidente di Ipsia Acli –. Se passasse il sì potrebbe cambiare la posizione dei lavoratori con il datore. Non cambierebbe il contratto, ma il dipendente sarebbe meno ricattabile e più forte nella fase contrattuale. Può rifiutare condizioni meno vantaggiose e non subirebbe l’imposizione legata al permesso di soggiorno. Un contratto non stabile lo rende infatti più vulnerabile. La cittadinanza può favorire una maggiore uguaglianza fra cittadini, incentivando un diverso senso di appartenenza, quindi di pace sociale e partecipazione alla vita e alla politica del Paese, migliorando il benessere e il processo di inclusione degli stranieri. Riducendo i tempi si riduce la precarietà e, di conseguenza, aumenta il contributo che le persone straniere portano come investimento nella comunità nella quale vivono. Non possiamo continuare ad additare gli immigrati come capri espiatori per le mancanze di una politica che non offre servizi efficienti. Il rischio è proprio quello che gli stranieri siano costretti a continuare ad accettare condizioni di lavoro poco dignitose e peggiorative. Sono loro i veri soggetti deboli. Favorendo percorsi di inclusione è possibile migliorare la sicurezza collettiva ed eliminare fragilità ulteriori».
Per Alfonso Luzzi, presidente del Movimento cristiano lavoratori, invece, non esiste un rapporto diretto tra cittadinanza e lavoratori stranieri. «Per il mercato del lavoro, costituisce un aspetto molto dibattuto quello relativo ai vantaggi che il cittadino italiano potrebbe avere rispetto a chi non lo è – precisa Luzzi –. Non crediamo che si possa sostenere in modo automatico che la condizione del cittadino sia privilegiata rispetto agli altri, poiché gli elementi per valutare il tasso di occupazione medio tra cittadini italiani e non sono molteplici e il dato della media del tasso di occupazione nei Paesi Ue, superiore per i cittadini rispetto agli stranieri, è legato a fattori diversi, tra cui il Paese di origine, il tempo di permanenza, il genere, l’età, il livello di istruzione e le competenze anche linguistiche. La differenza occupazionale o salariale, che può manifestarsi è, quindi, dovuta a fattori prevalentemente diversi da quello della cittadinanza e di conseguenza non direttamente legati al periodo di residenza necessario all'ottenimento della cittadinanza medesima. Sicuramente ci sono degli ambiti del mercato del lavoro ove l'essere cittadino italiano ha un valenza decisiva: pensiamo al tema dell'accesso al pubblico impiego, per alcune categorie del quale, il requisito della cittadinanza costituisce condizione essenziale, ma in linea generale la condizione di svantaggio degli stranieri e dei naturalizzati riflette la caratteristica del mercato del lavoro italiano, con una prevalenza di tali gruppi nei settori dove è più presente il lavoro non qualificato. Per Mcl un tema complesso e delicato come la cittadinanza richiede un confronto ampio per tracciare un percorso evolutivo condiviso, attraverso l’ascolto e il confronto con tutti gli attori sociali: la politica, le istituzioni e le organizzazioni sociali del Terzo settore. Che arrivi a una sintesi parlamentare. Chiediamo che il Paese percorra questa strada, senza scorciatoie».
Infine Gigi Petteni, presidente di Inas Cisl. «Il potere negoziale è collettivo e risiede nella contrattazione e non in chi spera nelle leggi – sottolinea Petteni –. Ogni giorno lavoriamo in silenzio e ci occupiamo di migliaia di pratiche che riguardano i ricongiungimenti familiari, la formazione nei Paesi di provenienza degli stranieri, il riconoscimento dei titoli di studio. I patronati non dovrebbero schierarsi. La cittadinanza non è un tema da tifosi. Dobbiamo piuttosto servire le persone e trasmettere i problemi che incontrano gli stranieri alle istituzioni e ai responsabili politici. Il primo servizio è l’ascolto. Lavoriamo anche nelle nostre sedi all’estero a sostegno degli italiani. La cittadinanza è integrazione e costruisce coesione. Siamo pazienti costruttori di una società a cui vogliamo dare il nostro contributo. Tutte le questioni legate alla cittadinanza rappresentano elementi forti che possono essere affrontati con la partecipazione attiva».

© RIPRODUZIONE RISERVATA