venerdì 4 dicembre 2020
Le associazioni per la vita potranno essere presenti in base agli articoli 1 e 2 (di fatto mai applicati) della legge 194: la rimozione delle cause. Ma l'Umbria fa un passo indietro sulla Ru486
Un'immagine del Centro aiuto alla vita Mangiagalli a Milano in una foto d'archivio

Un'immagine del Centro aiuto alla vita Mangiagalli a Milano in una foto d'archivio - Tam Tam

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In Piemonte le associazioni che si occupano di tutela della maternità potranno avere degli spazi a disposizione per aiutare le future mamme. La Regione ha dato mandato alle Asl di aprire un bando per avviare convenzioni con le associazioni pro life, al fine di dare sostegno alle donne in gravidanza, soprattutto a quelle che vivono la situazione con difficoltà.

L’atto arriva dopo l’adozione delle nuove linee guida regionali sulla Ru486, parzialmente in contrasto con quelle decise dal ministro della Salute Roberto Speranza nel “blitz” di Ferragosto, che hanno esteso il limite di utilizzo del farmaco abortivo dalla settima alla nona settimana di gestazione e ammesso la somministrazione anche in day hospital, in ambulatorio e persino nei consultori.

Fin da subito, l’assessore agli Affari legali Maurizio Marrone (FdI) aveva manifestato profondi dubbi sulla legittimità delle nuove regole (palesemente in contrasto con la legge 194), ottenendo poi conferma anche dall’Avvocatura regionale.

E così, a inizio ottobre, è stato stabilito che l’interruzione volontaria di gravidanza con la pillola Ru486 non sarebbe in alcun modo potuta avvenire nei consultori. Nello stesso documento si disponeva che all’interno degli ospedali piemontesi venissero attivati sportelli informativi gestiti da «idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato», che possano «anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita».

L’apertura del bando è il passaggio formale necessario, innovativo a livello nazionale, per consentire che la collaborazione tra sanità e associazioni sia formalmente riconosciuta e operativa. «Con questa determina – spiega l’assessore Marrone – si consente alle associazioni di "tutela materno-infantile che difendono la vita fin dal concepimento" di avviare convenzioni, al fine di aiutare le donne con gravidanze difficili a superare le criticità economiche e sociali che avrebbero altrimenti determinato l’aborto. Abbiamo previsto requisiti di serietà e professionalità tali da garantire la qualità dei progetti di sostegno psicologico e sociale delle organizzazioni pro vita, in rete con i consultori, ma all’interno di spazi che verranno messi a disposizione nelle strutture ospedaliere». Le convenzioni punteranno a facilitare l’accesso delle donne in difficoltà ai progetti che già esistono, mettendo anche disposizione delle associazioni spazi e bacheche all’interno degli ospedali.

«Stiamo semplicemente realizzando qualcosa che è scritto nella legge da oltre 40 anni – spiega Claudio Larocca, presidente regionale del Movimento per la vita (FederviPA) – aiutando a rimuovere le cause che portano la donna ad abortire. Il primo servizio è quello di accoglienza e di ascolto: troppo spesso le donne si sentono lasciate completamente sole davanti a una tragica scelta. E poi, se necessario, offriamo alternative e aiuto concreto, avvalendoci di iniziative di aiuto economico come il progetto Gemma. A differenza di quanto si racconta, infatti, ad oggi mancano concreti strumenti pubblici di sostegno materiale alle donne in gravidanza».

E se il Piemonte prosegue nel percorso avviato qualche mese fa, l’Umbria invece fa un passo indietro, dopo avere introdotto l’obbligo di somministrazione in regime di ricovero ospedaliero di tre giorni e avere sollevato così le polemiche che hanno portato alla modifica delle regole da parte del Governo. La Giunta regionale, mercoledì scorso, ha deciso di attenersi strettamente alle linee guida nazionali, limitandosi soltanto a lasciare alla donna «la possibilità di scegliere il regime di ricovero come previsto dalla legge 194/78».

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