sabato 13 giugno 2020
Il procuratore di Saluzzo: imminente esecuzione della pena per Harald Espenhahn e Gerald Priegnitz. Sconteranno almeno trenta mesi.
Antonio Boccuzzi, sopravvissuto al rogo della Thyssen, abbraccia alcuni dei familiari delle vittime. Morirono 7 operai

Antonio Boccuzzi, sopravvissuto al rogo della Thyssen, abbraccia alcuni dei familiari delle vittime. Morirono 7 operai - Ansa

COMMENTA E CONDIVIDI

Imminente esecuzione della pena. Potrebbe essere ad una svolta il calvario dei sette che morirono per un incendio nell’acciaieria ThyssenKrupp di Torino quasi 13 anni fa: una delle più grandi tragedie dell’Italia industriale del dopoguerra, le cui ferite non si rimargineranno mai del tutto.

Dopo un lungo cammino giudiziario, ad oggi solo i manager italiani giudicati colpevoli sono finiti in carcere, mentre due dirigenti tedeschi, imputati e condannati, sono sfuggiti alla reclusione. Ieri però, Francesco Saluzzo, procuratore generale di Torino, ha annunciato che l’esecuzione della pena per i manager Harald Espenhahn e Gerald Priegnitz «è imminente» e si tratterà di «carcere». Saluzzo ha deciso di parlare dopo che Eurojust (la struttura di collegamento delle magistrature europee), ha confermato che non esistono alternative alla carcerazione. Solo l’emergenza sanitaria ha rallentato il procedimento. Adesso Eurojust ha precisato che nulla più si frappone: occorre solo che l’ordine di esecuzione sia emanato. Dopo aver scontato almeno metà della pena (5 anni per l’ordinamento tedesco), sarà possibile per i due chiedere la libertà vigilata. L’arresto potrebbe scattare tra qualche giorno o, al massimo, un paio di settimane.

Tra il 5 e il 6 dicembre 2007, gli operai di turno alla linea 5 dello stabilimento della Thyssen trentacinque minuti dopo la mezzanotte riavviano un impianto, ma delle scintille, causate da un irregolare funzionamento, danno vita ad un incendio che si sviluppa subito con violenza per le condizioni di scarsa manutenzione dell’intera fabbrica e per la presenza di carta intrisa d’olio. Poi il disastro: da un tubo flessibile dell’impianto idraulico oleodinamico esce dell’olio ad alta pressione che esplode in un nube di fuoco che avvolge sette persone. È un dramma indicibile. Bruciano vivi Giuseppe Demasi, Angelo Laurino, Roberto Scola, Rosario Rodinò, Rocco Marzo, Bruno Santino e Antonio Schiavone. Moriranno tutti nell’arco di venticinque giorni. Si salva solo Antonio Boccuzzi che riporta ustioni non gravi.

La città il mattino dopo è ammutolita. Scattano subito le indagini del procuratore Raffaele Guariniello che in tre mesi chiude l’inchiesta e manda a processo i due manager tedeschi e quattro dirigenti italiani. Il reato contestato è omicidio volontario con dolo eventuale. Per i magistrati, gli impianti che stavano per essere spostati a Terni, avevano ormai una scarsa attenzione da parte della dirigenza della fabbrica. Da qui l’incidente. Il processo che segue finisce con una serie di condanne. In appello tutto cambia: il reato si trasforma in omicidio e incendio colposi con colpa cosciente. Sentenza confermata comunque in Cassazione. Alla fine, gli italiani si costituiscono, i tedeschi tornano a casa. In Germania Espenhahn e Priegnitz ricorrono per evitare il carcere, che viene confermato dopo oltre quattro anni dai giudici tedeschi e sancito il 23 gennaio scorso dal Tribunale regionale superiore di Hamm che respinge l’ultimo ricorso dei due.

«La giustizia che volevamo noi non è questa, la vera giustizia ce la darà Dio» ha detto però ieri Rosina Platì, mamma di De Masi, che ha aggiunto: «Li vogliamo vedere in carcere davvero. Troppe volte ci hanno dato questa notizia e non sono mai entrati». Mentre Boccuzzi ha commentato: «È una ferita che oltre a non chiudersi si infetta continuamente». Torna in mente quanto detto dal Cardinale Severino Poletto in quei giorni: «Non ci sono aggettivi adeguati per commentare questo modo atroce di morire. È accaduto ciò che non dovrebbe mai accadere sul posto di lavoro», e poi ancora: «Siamo qui poveri di parole perché ripetitive; perché noi siamo incapaci di afferrare quanto grande sia il dolore».



© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: