martedì 9 aprile 2024
L'idea della “fortezza” Europa. Roma avrebbe voluto una redistribuzione garantita in caso di crisi, in realtà resta il discutibile principio delle sanzioni da pagare per chi non accoglie
Un soccorso di migranti in mare

Un soccorso di migranti in mare - Ansa

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Domani il Parlamento Europeo mette la parola finale al Patto sulla migrazione, dopo un percorso più che travagliato durato quasi dieci anni. L’assemblea Ue è infatti chiamata al voto definitivo sull’accordo raggiunto a dicembre con il Consiglio Ue (che rappresenta gli Stati membri, e che darà l’ultimo ok formale, scontato). Un testo criticato da molte Ong che parlano di riduzione della tutela dei diritti, e che punta a fare dell’Europa una «fortezza». L’intesa tra istituzioni Ue è arrivata lo scorso 21 dicembre, dopo l’accordo tra gli Stati membri sul cuore del Patto l’8 giugno a Lussemburgo. Un accordo reso possibile dalla rinuncia alla ricerca di una decisione unanime, visto il no irrevocabile di Polonia e Ungheria: l’allora presidenza di turno svedese decise di applicare le norme del Trattato Ue, che prevede per le questioni migratorie il voto a maggioranza qualificata.

Per l’Italia c’è un importante punto, contenuto in una delle cinque principali normative del Patto, e cioè il regolamento sulla gestione dell’asilo e della migrazione: l’introduzione della «solidarietà obbligatoria». L’Italia, e con lei il Parlamento Europeo, a dire il vero avrebbe voluto una ridistribuzione obbligatoria di migranti in caso di crisi, alla fine è passato il concetto di una solidarietà a scelta: o prendersi migranti (previsto un pool di 30.000 l’anno) o pagare 20.000 euro per ogni migrante non accolto. La solidarietà «obbligatoria» scatta in situazione di emergenza, regolate da un’altra delle normative del Patto, e cioè il regolamento sulle crisi e strumentalizzazioni. Qui spicca il riferimento ad «agenti non statali» tra possibili attori di strumentalizzazioni, che qualcuno vuole sia applicato anche alle Ong umanitarie. La Germania aveva cercato di imporre un’esclusione esplicita delle attività umanitarie, ma ha dovuto desistere soprattutto di fronte alla posizione molto dura dell’Italia. Le Ong contestano inoltre che il regolamento di crisi consente deroghe sul fronte dei diritti umani e della durata della detenzione.

Per il resto, la normativa prevede obblighi più cogenti per gli Stati membri di primo approdo come l’Italia. Oltre all’obbligo di prelevare le impronte a tutti i migranti irregolari con indicazione del Paese Ue di primo approdo (normativa Eurodac), figura la controversa «procedura di frontiera», inserita nel regolamento sulle procedure d’asilo, altro pilastro del Patto. Procedura che in sostanza prevede un’accelerazione della valutazione della situazione dei migranti irregolare: quelli provenienti da Paesi con in media meno del 20% delle domande d’asilo accolte saranno sottoposti a procedura velocizzata (massimo 12 settimane), nelle vicinanze della frontiera esterna, in vista del rimpatrio. E questo, altro punto contestato dalle Ong, anche in centri di fatto detentivi. Invano il Parlamento Europeo e la Germania avevano insistito per escludere da questa procedura le famiglie con bambini.

Una cosa va sottolineata: il principio del vecchio regolamento di Dublino, secondo il quale responsabile del migrante irregolare è il primo Stato di approdo, in buona sostanza rimane intatto, sia pure con attenuazioni grazie anzitutto alla solidarietà: responsabilità che permane per due anni (durante i quali, se un migrante si sposta in un altro Paese Ue, questo ha il diritto di rispedirlo allo Stato di primo ingresso), anche se l’Italia ha ottenuto che per i migranti giunti con operazioni di ricerca e salvataggio si scenda un anno. A proposito di ricerca e salvataggio: questo aspetto non viene in alcun modo coperto del Patto.

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