
Cristina Finazzi con il figlio Leonardo - per gentile concessione della famiglia
Il caregiver familiare è la persona - più spesso la madre, in altri casi il padre, uno dei fratelli o un figlio - che si prende cura gratuitamente a tempo pieno di una persona malata o con disabilità grave, in molti casi decidendo anche per lei. Da anni si discute di una legge che preveda alcune tutele per questa figura senza che però si sia arrivati a un risultato.
La prima definizione di caregiver risale alla legge di bilancio del 2018, e dopo che nella scorsa legislatura un tentativo di iniziativa legislativa non è andato a buon fine, in quella attuale sono state depositate alla Camera diverse proposte di legge sia di maggioranza sia dell’opposizione. I ministeri della Disabilità e quello del Lavoro dopo aver riunito un tavolo tecnico e audito una serie di esperti nel corso del 2024, nel febbraio di quest’anno hanno illustrato al Consiglio dei ministri e in commissione Affari sociali della Camera le linee guida per un disegno di legge appunto di iniziativa governativa. I nodi da sciogliere, però, sono ancora diversi. A cominciare dal requisito o meno della convivenza, la disciplina delle tutele e dei sostegni da prevedere, la loro graduazione in ragione del grado di impegno, le misure per la conciliazione tra lavoro e assistenza.
«Eravamo lì ad ascoltare i lavori della commissione Affari sociali della Camera, dopo l’audizione della ministra per le Disabilità Alessandra Locatelli, e intanto ci scorrevano nella mente gli impegni della giornata, delle nostre vite di caregiver familiari di figli con una disabilità intellettivo relazionale e del neuro sviluppo. Ripensavamo alle cure quotidiane e alle battaglie per ottenere servizi adeguati, al rapporto con i sanitari e con il mondo della scuola, alle lotte contro i muri della burocrazia e quelli dei pregiudizi delle persone. Avvertivamo sulle nostre spalle la fatica quotidiana, la solitudine, le rinunce, il lavoro abbandonato, la dipendenza economica e il peso della responsabilità di operare – ogni giorno – le scelte sulla vita dei nostri figli, che non saranno mai autonomi. Ecco, mentre ci scorrevano nella mente queste immagini, ascoltavamo discorsi che non avevano corrispondenza con tutti i nostri pensieri. Eppure, si discuteva di una legge proprio per i caregiver familiari, per noi».
Sofia Donato, Erika Coppelli e Cristina Finazzi sono tre caregiver familiari, madri di ragazzi con disabilità intellettiva, e rappresentanti rispettivamente del gruppo nazionale “Caregiver familiari comma 255”, il “Tortellante”, “Comitato uniti per l’autismo”. Sono anche tre dei quattro esperti nominati dalla ministra per le Disabilità al “Tavolo tecnico per l’analisi e la definizione di elementi utili per una legge statale sui caregiver familiari”. E ora sono, diciamo così, un po’ stufe di sentire chiacchiere e di constatare come il dibattito rischi di deragliare prima ancora di arrivare a una prima stazione: mettere a punto un testo di legge base da discutere in Parlamento, dopo anni di tentativi andati a vuoto (vedi box sotto). Perché si confondono i soggetti e i piani di intervento. Perché si rischia di finire a regolamentare l’amore per un figlio anziché riconoscere un ruolo sociale specifico, di fissare dei diritti-doveri nei rapporti interfamiliari anziché tutelare e dare opportunità alle persone. Per tutto ciò, adesso, queste tre donne hanno deciso di prendere posizione pubblicamente.

Sofia Donato con la figlia Deyanira - per gentile concessione della famiglia
L’entusiasmo iniziale per la convocazione al tavolo e il lavoro di analisi svolto durante il 2024, infatti, ha lasciato presto spazio alla frustrazione. «Anzitutto – spiegano - per la mancanza di un equilibrio numerico tra le rappresentanze dei caregiver familiari e quelle delle persone con disabilità e di coloro che fanno della rappresentanza una professione, non vivono in prima persona il ruolo di caregiver». Di qui alcune differenze di vedute e soprattutto la difficoltà nel far comprendere la specificità del ruolo del caregiver familiare convivente rispetto al bisogno assistenziale della persona con disabilità. Spesso, infatti, «chi è abituato a difendere i diritti delle persone con disabilità non riesce a considerare il caregiver familiare nella sua individualità e nell’importanza del ruolo sociale che si assume». Il familiare convivente che si prende cura di un figlio o un fratello con disabilità intellettivo relazionale e del neuro sviluppo, infatti, si trova spesso nella condizione di aver dovuto ridurre drasticamente o abbandonare del tutto l’attività lavorativa per la necessità di una presenza continua a fianco del proprio caro, con la conseguenza di una dipendenza economica non desiderata e di fatto la negazione di una vita adulta “autonoma”. «Perché nessuno sceglie di assumere questo ruolo, ti ci trovi catapultata – racconta Sofia Donato -. E spesso fin dal primo momento è necessario assumersi la responsabilità non solo delle cure quotidiane, ma di costruire e sostenere la vita della persona con disabilità. Con tutto il carico di complessità, stanchezza, solitudine quotidiana che questo comporta. Pensi che dovrai occuparti della vita di tuo figlio per 20, 30, 50 anni o fino alla fine. Combatti ogni giorno e in quello stesso giorno pensi a quando tu non ci sarai più, hai paura per il futuro di tuo figlio. Eppure non cedi, non puoi cedere, devi affrontare ogni imprevisto e sostenere una vita sotto continuo “ricatto affettivo”, con la consapevolezza che dalla tua lucidità di caregiver – che si aggiunge a tutti gli altri ruoli che ognuno ricopre nella propria vita - dipende la gestione quotidiana di un figlio e di fatto dell’intera famiglia». Un compito eccezionalmente gravoso nel caso dei nuclei monogenitoriali o monoparentali.
Anche per questo nella legge che si vorrebbe portare finalmente all’esame del Parlamento per le tre esperte è fondamentale che «il riconoscimento del caregiver familiare convivente non venga confuso con i bisogni della persona con disabilità. Così come l’assistenza fisica o infermieristica dovrebbe essere erogata attraverso i servizi preposti, la legge non dovrebbe monetizzare la solidarietà familiare né delegare, o meglio scaricare sul caregiver le carenze dei servizi pubblici».
Sofia Donato, Erika Coppelli e Cristina Finazzi si battono da anni per un cambio di paradigma culturale che riconosca il loro ruolo sociale svolto dai caregiver familiari conviventi e la loro titolarità di diritti soggettivi propri. «Non chiedo assistenza in più per mio figlio come forma di sollievo per me, né voglio che, come già accade in diverse Regioni, il familiare sia costretto a firmare il Pai (Progetto Assistenziale Individualizzato) della persona con disabilità assumendosi specifici compiti quotidiani, affinché vengano riconosciuti i diritti basilari a chi sconta delle disabilità – spiega ancora Sofia Donato -. No, vorrei invece che si riconoscesse che la disabilità intellettivo relazionale e del neuro sviluppo non è un problema solo mio, ma una questione sociale di tutta la comunità. Al di là dell’amore per un figlio o un fratello, che non si regola certo per legge o con un contratto. E quindi riconoscere il ruolo che noi caregiver familiari svolgiamo nella società accanto a persone che si trovano in una condizione di vita irreversibile».

Erika Coppelli con il figlio Filippo - per gentile concessione della famiglia
Di qui due richieste sostanziali: la prima quella di avere un riconoscimento economico appunto per il ruolo svolto, individuando bene la platea dei beneficiari, con particolare attenzione a chi è comunque impossibilitato a lavorare. La seconda un affiancamento formativo e un collocamento mirato che possa favorire un’attività esterna alla famiglia, per avere l’opportunità di lavorare e godere di una maggiore indipendenza economica. «Altre previsioni, come i prepensionamenti per chi da adulto si trova a dover accudire genitori con forte decadimento cognitivo o gravi patologie, oppure la previsione di contributi figurativi e il sostegno psicologico possono essere utili ma vengono dopo, non sono la priorità», conclude Sofia Donato.
Complessivamente, in Italia, sono 7 milioni le persone che si prendono cura di un familiare, con differenti gradi di impegno in termini di tempo e risorse personali. Occorre individuare bene le diverse platee e mirare adeguatamente interventi e tutele, compito tutt’altro che facile. Ma una cosa è certa: non si può più ignorare il ruolo che i caregiver familiari svolgono e le scelte nei loro riguardi si sono fatte urgenti.